The Time Flys
Rebels of Babylon
Sono passati trenta anni giusti da quel fatidico 1977 che cambiò completamente il volto del rock con l’affermazione del movimento punk. Trent’anni…un’eternità per gli standard musicali odierni, un periodo lunghissimo in cui nel frattempo la musica ha proseguito le sue infinite evoluzioni con passo impressionante. Eppure oggi, nel 2007, ad ascoltare i Time Flys sembra proprio che queste tre decadi non siano mai passate.
Il gruppo è un quartetto proveniente da Oakland (California) che si è fatto notare nel 2005 con l’esordio Fly, una manna caduta dal cielo per punkofili e garagisti, con i suoi undici brani dalla media di due minuti l’uno. E avrà nuovamente di che gioire, questo folto esercito di nostalgici, nell’ ascoltare un disco che riprende il percorso di recupero delle sonorità punk e proto punk che elettrizzarono quei favolosi anni ’70 (e la fine del decennio precedente).
Recentemente solo Donnas e Star Spangles mi avevano dato l’impressione di saper catturare così bene lo spirito di quei mostri sacri. Oggi si può tranquillamente aggiungere alla lista il nome dei Time Flys. Senza essere aggressivi quanto i Sex Pistols, i quattro ragazzi sembrano più vicini allo al suono sporco e lascivo degli Stooges.
Il gruppo però basa quasi interamente il proprio sound sullo “stile Ramones”: pezzi brevissimi (due-tre minuti in media) in cui si scatenano riff e assoli a rotta di collo, con ritornelli e coretti tanto genuini quanto divertenti. È il caso di Lil’LA, Down On History, Stoner Rock, Bonzo’s A Bruiser e molte altre. Chitarre sporche e attenzione alla melodia sono quindi le caratteristiche principali da tenere in considerazione. L’attitudine generale è più ancorata al rock’n’roll che al punk, prevale la voglia di far casino senza essere distruttivi e manca ogni tipo di ribellione primordiale.
Come i Ramones, per l’appunto, ma anche come il movimento garage-rock dei ‘60s (quello immortalato nella mitica raccolta “Nuggets”). Non mancano però le escursioni nel territorio dei New York Dolls (Reality (Is a rock band), Shark Song, Spotty Kid) e dei Buzzcocks (Zodiac Killer’s Son, Dead Rock’n Rollers (Are Still Dead)). Addirittura in Livin’in Sin sembra di sentire gli strafottenti Small Faces frullati attraverso gli Mc5 di Back in Usa.
Grande capacità di orientarsi in un mare di citazionismo per un disco che non dice nulla in più di quanto è già stato detto in passato, è vero, però lo dice molto bene.
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