Montecristo
Montecristo
Vivere ai margini del grande impero ha i suoi vantaggi, di tanto in tanto: se l’impero è quello musicale anglo-americano vivere ai margini, nella piccola e irrisa italietta di periferia, può voler dire eludere le trappole dei trend più effimeri. È il caso dei Montecristo, gruppo romano che pure coinvolge artisti con importanti esperienze oltreoceano, un produttore di statura internazionale come Tony James (il demiurgo dei Generation X) e uno studio di registrazione come lo Sterling Sound.
E che però della sedicente rock revolution se ne infischia, alla grande, e tira fuori dal cilindro un debutto che macina abilmente rock stradaiolo, spunti garage, punk’n’roll, lustrando il tutto con un brillante attitudine glam, a zig zag tra Bolan, gli Stooges di Raw Power e i Motley Crue.
È un disco che non scappa di fronte ad un ritornello, questo, che ripudia gli intellettualismi di certo indie rock, che rifugge gli snobismi e spalanca le sue melodie senza paura, alternando con abilità spunti e idee che prendono a sapienti manciate da trent’anni di storia del rock.
Un disco rock tout court, che potrebbe far pensare a tratti ai migliori Queens Of The Stone Age, quelli che in Songs For The Deaf inanellavano riff e melodie perfette come se niente fosse, sfoggiando un eclettismo e una qualità mai più raggiunti. Più un’affinità di spirito e qualche suggestivo parallelismo sonoro, che una fondata parentela, comunque.
A Shake Your Bones bastano un paio di minuti per spezzarti le ossa, più che scuotertele, Ready Steady Nothing bissa, rincara la dose, a ricordarci che gli anni ’80 non sono stati solo quelli del goth e del p-funk. Devil’s Do’s sfodera con passione progressioni punk e un ritornello dall’animo pop.
E poi I Am A Wheel, marziale ed incubante, che incrocia lasciva Homme e l’iguana, Misterya, deliziosa rilettura in chiave power pop di sua maestà Marc Bolan, French Kill, altra infuriata immersione nel rock’n’roll più sguaiato, gli Stooges (1975 e You Ain’t No Piece Of Cake, Girl), il boogie (Sweet Revenge) e , a chiudere dolcemente il disco, il noise pop di Loader, satura di feedback e sognante quanto basta per far ripartire inesorabile il cd dall’inizio, in un loop perfetto e inevitabile.
Dopo l’esaltante esordio dei Micecars, un altro gruppo italiano che piega il cantato inglese al suo volere e attraversa come una valanga suoni e generi. Alla faccia dell’italietta. E alla faccia dell’impero.
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