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R Recensione

7/10

Massimo Martellotta

One Man Sessions, Volume 1: Sintesi

Senza timore di far torto a qualcuno riconoscerò che, dei quattro membri on stage dei Calibro 35, Massimo Martellotta è di gran lunga il più posato e popolare, il meno appariscente: l’autore misconosciuto di jingle e musiche su commissione, l’onesto artigiano che scrive ed esegue impeccabilmente per sé e per conto terzi, egualmente lontano dalle bizzarrie e dai colpi di genio (quali quelli, ad esempio, del collega Gabrielli). Polistrumentista e firma dei successi più solidi della band sì, ma con discrezione, senza dare nell’occhio. Così, se non avessi recentemente sentito dal vivo lo speciale trattamento riservato al bordone d’apertura di “Modo”, uno dei pezzi più felici e trascinanti dello splendido “Decade”, non avrei mai potuto sospettare che qualcosa stesse bollendo in pentola. Eppure, quelle derive sintetiche, quell’attrazione verso la ripetizione ritmica… Era palese che gatta ci covasse. Quello che nessuno avrebbe mai potuto indovinare era la dimensione della covata: un parto plurigemellare, alla maniera dei grandi compositori degli anni ’60 e ’70, dai quali Martellotta mutua anche una certa ritualità concettuale (cinque sessions complessive, ognuna vincolata a e da un tema specifico: in altri tempi avremmo parlato di library).

Sintesi”, primo capitolo dell’opera, è un disco prezioso sotto molti punti di vista. In prima battuta, per come e quando è stato concepito: in una giornata di libera improvvisazione agli One Man Studio, con a disposizione solo sintetizzatori analogici e digitali. In secondo luogo, per l’approfondimento di un lato poco conosciuto dell’autore Martellotta: il musicista infatuato non di tutta l’elettronica, ma di una sua particolare declinazione, quella cinematografica (le antenne di molti si saranno già rizzate…). Infine, perché ci permette di capire quanto artisti apparentemente circoscrivibili ad altri territori – come, appunto, il Martellotta pop art dei Calibro 35 – abbiano assorbito e fatto proprie le più recenti conquiste su larga scala di un mondo, quello dell’elettronica, in perenne sconvolgimento. Interessanti – anche in virtù di una certa compattezza – sono i risultati. Se la melodia primaria di synth in “Sintesi n. 2”, giocata su un background di droni oscuri, è carpenteriana fino al midollo, più subacquea e ambientale è “Sintesi n. 4”, mentre “Sintesi n. 5” sporca di leggere interferenze dubstep barocchismi sinfonici destrutturati in ondate acide e la conclusiva “Sintesi n. 6” riesuma un certo allure gotico che – fra Crimea X e Adamennon – nello Stivale ha da poco conosciuto una certa popolarità di ritorno (ancora più teatrali sono le volute simonettiane di “Sintesi n. 1”). Particolarmente pregnante è, a margine, il gioco di pieni e vuoti in “Sintesi n. 3”, dove l’evoluzione armonica viene prima resa frastagliata e non consequenziale – alla maniera di Fennesz – e poi caricata di interessanti chiose harsh.

Una graditissima sorpresa. Chi ben comincia...

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