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5,5/10

Arcadea

Arcadea

Dopo le libere uscite dei sodali Troy Sanders (Killer Be Killed, Gone Is Gone) e Brent Hinds (Giraffe Tongue Orchestra), in casa Mastodon arriva l’ora del side project personale anche per il batterista Brann Dailor. Un gruppo parallelo, a dire il vero, a lungo meditato, nella composizione e nell’impostazione: quanto oggi si ascolta nell’omonimo esordio lungo degli Arcadea (la cui lineup è completata dalle chitarre e dalle tastiere di Core Atos e Raheem Amlani) è infatti frutto di un lavoro ragionato, distribuito nel corso degli ultimi due anni. Spina dorsale del disco e pretesto che ne giustifica l’articolazione synth-oriented è una sottotrama sci-fi incentrata sulle peripezie di tre viaggiatori a spasso per la galassia di Andromeda, cinque miliardi di anni dopo l’ultima grande estinzione di massa (un tema di rilevanza politica attualissima): se il concept inciterebbe all’abuso di grandeur prog e il battage pubblicitario suggerisce arditi accostamenti addirittura con i Genghis Tron (ma in che universo?), nel suo complesso “Arcadea” assomiglia piuttosto a un reboot carpenteriano delle teatrali scenografie di “Crack The Skye”.

L’approccio alla materia, del tutto nuovo per un musicista metal pur eclettico qual è Dailor, è però spesso ludico e dozzinale. La pretestuosa dimensione cosmica del disco è una traccia monodimensionale svolta solo in superficie, realizzata con l’ammonticchiarsi di scadenti e prevedibili linee melodiche per synth (“Gas Giant” è la bombastica IDM al tempo di “Emperor Of Sand”) e il definirsi di una liofilizzata epica spacey priva di ogni duplice interpretazione (il tardo Simonetti di “Infinite End”, l’electro rock tetragono di “Motion Of Planets”). Sebbene il ruolo di Atos e Amlani sia fondamentale, a soddisfare il reale godimento estetico è solo il tentacolare batterismo di Dailor che – dopo essere andato incontro ad una progressiva semplificazione nel progredire del percorso artistico dei Mastodon – riacquista qui una maggiore stratificazione, esibendosi in imprevisti cambi di marcia (il rinculo di “Army Of Electrons”), arrampicandosi su gustosi fill jazzati (una “Rings Of Saturn”, calembour voluto, cyber-punk) e riscoprendo i sommovimenti tellurici di “Blood Mountain” (senza esagerare, “Electromagnetic” è un post-core sintetizzato in laboratorio).

L’unico frangente in cui gli Arcadea sembrano marciare sulla stessa lunghezza d’onda, liberandosi del fastidioso sentore personalistico, arriva, ahinoi, troppo tardi, sull’onda delle psichedeliche fughe strumentali della conclusiva “Magnificent Façade”: assieme allo space-synth pop con voce femminile di “Neptune Moons” e ai Floyd vocoderizzati della malinconica “Through The Eye Of Pisces”, uno dei rari motivi d’interesse di un disco mai veramente a fuoco. Più che navicella interstellare, videogioco datato: il che è tutto dire.

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