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R Recensione

6/10

Blacklisted

When People Grow, People Go

There is no easy way to explain / When people grow, people go

Si potrebbe pensare che lo sguardo indecifrabile del bimbo sperso in un piovigginare pallido e assorto di un pomeriggio americano qualunque (dunque brutto) sia il fantasma, in diacronia, del ragazzo che contemplava la stessa acqua grigio metallico, ma del golfo industriale catturato da Melissa Farley per la meravigliosa copertina di “Heavier Than Heaven, Lonelier Than God”. Qui e lì, la sola solitudine dell’essere umano sperso di fronte al mistero dell’esistenza, lo smarrimento di chi si sente schiacciare dall’alt(r)o ed inghiottire dal basso, la lotta per la libertà e lo straziante tormento per non sapere cosa farsene. Nel loro piccolo, ché certo non si parla dei Brat’ja Karamazovy di Dostoevskij, i Blacklisted tracciano da dieci anni le linee guida, filosofiche ed etiche, per il vademecum hardcore del Nuovo Millennio, senza scomodare massimi sistemi (difficile farlo in venti, venticinque minuti, ed è meglio così) e, soprattutto, senza urlare a pieni polmoni un sottotesto di vita vissuta che, in molte nuove formazioni di simile schiatta, troppo spesso sembra andare a sostituire la musica suonata.

Qui, al contrario, il fumo si dissolve nella sostanza di un quartetto che, fedele alla linea della musica pe(n)sante degli anni ’90, si permette spesso e volentieri una discreta quantità di variazioni – stilistiche e melodiche – sul tessuto di partenza. Si capisce allora meglio l’attacco quasi grunge di “Insularized”, con malinconiche chitarre out of tune pronte a scoprire i denti e a caricare l’assalto all’arma bianca: lo stoner ispido e scartavetrante di “Gossamer” (anche se, ad onor del vero, una cadenza ritmica meno calcata avrebbe giovato al brano, che così sembra scivolare in più di qualche frangente verso il metalcore); la furia belluina di “Burnt Palms”, come i primi Municipal Waste a cena coi Converge; le infestazioni Unsane di “Foreign Observer”, con le backing vocals di Nick WOJ dei Cold World, e gli accenti emozionali del post-core di “Bottle Rockets”.

Un dato, fra gli altri, assume però un certo peso nel momento della valutazione conclusiva, e complessiva, di “When People Grow, People Go”: l’ampio iato temporale, sei anni, che lo separa dalla precedente prova in studio, la miscellanea “No One Deserves To Be Here More Than Me” (la foltissima produzione su split ed EP, l’ultimo dei quali è “So, You Are A Magician?” del 2012, conta solo fino ad un certo punto). Non si tratta di minuzie, perché il disco, se da un lato scorre senza intoppo alcuno, dall’altro esplicita chiaramente tutte le difficoltà di costruzione nei brani che, per minutaggio, superino il semplice bozzetto. La title track (3.32), aldilà del bellissimo testo, si perde nelle prolisse e scontate lungaggini del moderno para-sludge atmosferico (ci sono punti di contatto con gli episodi più concisi degli Helms Alee). I breakdown di “Wooder Ice” sono uno sgradito incidente di percorso, una loffia esibizione di muscoli che oscura anche il rifferama monocromatico di “Riptide” e, in parte, una “Deeper Kind” che, tuttavia, riprende vertiginosamente quota grazie ad un granitico ritornello.

In nessun modo, insomma, riusciremmo a riprodurre l’ammirazione che ci colse all’ascolto del sopracitato “Heavier Than Heaven, Lonelier Than God”, ad oggi ancora la miglior prova dei Blacklisted. Se solo quel giovane si fosse inabissato, a volo d’angelo, in quelle gelide onde… 

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