Afterhours
Lowlife
I losangelini ammazzano di notte. Con Lowlife lAfterhours doltreoceano (il produttore Nicholas Crozier Malkin) sviluppa la poetica dellep Sleepwalk (2012), con maggiore eclettismo ma sempre restando nei confini di atmosfere notturne e sfocate.
Il disco è unottima colonna sonora, come già lesordio, per camminate tarde sotto lo sfolgorio delle luci al neon, in unaura di trip-hop stupefatto (Sixty-forty) e di campate downtempo molto anni 90 (Night and Day), su collage di sample nascosti sottopelle e sfrangiati da archi, piano e sax. Il paesaggio urbano ne esce come devitalizzato, privato delle inquietudini dubstep (anche se qualcosa resta: vd. Defragment #2, dove fa capolino pure Nicolas Jaar): la metropoli si concede e lascia respirare la sua poesia, accetta la tregua e cammina pure lei con cadenza narcotica (Split at the Mirror).
A staccarsi dai sei pezzi è la centrale Lovesick, dove Malkin prova per la prima volta a dare spazio al beat, trasformando le implose potenzialità house dei suoi pezzi in uno scatenamento da party vero e proprio, in mezzo a lacerti sonori della città che filtrano tra le conga e il basso pulsante. Gran bel pezzo.
Forse è in questa direzione che Afterhours potrà continuare, magari con più complessità e maggiore sporcizia, la sua esplorazione dei recessi cittadini by night.
Tweet