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R Recensione

7/10

Nicolas Jaar

Space Is Only Noise

L’ascolto di Space Is Only Noise potrà molto probabilmente essere collegato a un’immagine del genere: un uomo che da un punto di vista ben collocato osserva una normale scena di quotidianità stradale, con la gente che conversa del più e del meno, i bambini che strillano, le macchine che sfrecciano; questo osservatore meditabondo annota, registra gli eventi, poi si ritira in un luogo isolato e crea una musica in cui inserire le scene appena analizzate.

L’esordio dell’appena 20enne Nicolas Jaar (produttore di origini cilene ma residente in USA), infatti, è un malinconico connubio di suggestivi field recordings (che vanno da conversazioni dotte in francese a rumori disparati), elettronica minimale/downtempo, una vena soul/jazz sentimentale, il tutto inserito su uno sfondo che deve tanto a certa micro/deep house. È musica dance riflessiva, su cui non si balla, più adatta a scaldare freddi pomeriggi invernali che non la pista di un club. A tratti sembra quasi di ascoltare la risposta americana a James Blake, anche se a differenza del genietto inglese Jaar non ha ancora le idee chiarissime.

Se infatti il lato più soft del disco riserva vari momenti affascinanti, quando il discorso si muove sul versante minimal techno si cade molto spesso nella noia e nel già sentito. E così la prima parte del disco intriga, e non poco, con la nenia al vocoder di Colomb, il noir-pop con suggestioni orientali di Too Many Kids Finding Rain In The Dust, a metà strada tra il Nick Cave di Red Right Hand e il Tom Waits più notturno, il jazz sintetico dal sapore esotico di Keep Me There, e infine il soul d’annata che flirta col dubstep in I Got A Woman (con un sample di “I Got” di Ray Charles). Dopo questo ottimo brano, si ha l’impressione che il disco diventi sempre meno centrato e sfilacciato, diviso tra riproposizioni delle ultime tendenze funk/techno in stile Matthew Dear (Problems With The Sun, Space Is Only Noise If You Can See) e tediosi esperimenti ambient (Almost Fell, Balance Her In Between The Eyes). Unici punti di continuità con la prima parte del disco sono rappresentati dai due minuti serrati tra beat dubstep e manipolazioni vocali di Specters Of The Future e la chiusura pianistica del duo VariationsTre.

È piuttosto certo che ci troviamo di fronte a un giovane di belle speranze, con il futuro dalla sua parte, e che diversi episodi del suo esordio sono notevoli, davvero (come detto nell’introduzione, entrare nelle pieghe di questo disco ha il vago sapore di un estraniamento dalla realtà). Però Jaar non riesce ancora a reggere il formato album (puntare su una durata più breve avrebbe giovato senz’altro), e soprattutto, non dà l’idea di avere una precisa strada da percorrere. Aspettiamo con fiducia, intanto prendiamo il meglio.

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Voto degli utenti: 7,7/10 in media su 24 voti.

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synth_charmer (ha votato 7 questo disco) alle 9:47 del 28 febbraio 2011 ha scritto:

Esiste una categoria di dischi che solo i nostri tempi possono produrre: penso ai recenti dischi di Actress, Noto/Bargeld, Desolate, album eterei sopra le righe, inclassificabili, in cui il grosso viene dalla creatività dell'artista, che invece di stabilirsi dentro uno stile di fatto reinterpreta una serie di tendenze diffuse, dandogli una forma personale. Questo rientra in questa categoria, e tra l'altro lo sento molto vicino al Mimikry dell'anno scorso. Sono sicuramente interessanti, ma non riesco ancora a trovare il disco che mi faccia strappare le vesti. Sono ascolti poco definiti, quasi divertissment, sembra si vergognino a mostrare un volto netto. Pieni di spunti stimolanti, ma non riescono a colpirmi sul serio. Mi capita anche qui: 7, equilibrio tra sforzo creativo e efficacia di risultato

synth_charmer (ha votato 7 questo disco) alle 10:07 del 28 febbraio 2011 ha scritto:

ps: bravo Gioele, recensione pulita e lineare

Filippo Maradei (ha votato 8 questo disco) alle 12:23 del 28 febbraio 2011 ha scritto:

Io invece trovo molto più chiare le idee di 'sto giovane cileno qua rispetto a quelle, troppo isolate e incerte, di Blake. Se proprio vogliamo paragonarli, in "Space Is Only Noise" traspare più costanza qualitativa e uniformità d'intenti, per contrappasso a una ottima varietà d'approccio (dal metropolitan-dub costruito su field recordings a rarefazioni minimal e downtempo, passando tra inserti pregiati blues e un uso azzeccatissimo del riverbero "ab eco"); Blake, al contrario, tende a polarizzare il suo lavoro in un (piccolo) estremo di "hit strabilianti" e in un (grande) altro estremo in cui si gonfiano a vuoto "pochi e poveri elementi". Comunque sia, per il giovane londinese prevedo un gran bel futuro, la strada intrapresa è importante (e potrebbe rivelarsi epocale, un punto di svolta), ma per il momento il buon Jaar presenta un album decisamente più maturo.

target (ha votato 8 questo disco) alle 16:51 del 28 febbraio 2011 ha scritto:

Vero che nella seconda parte si traccheggia un po', ma la prima è bellissima (se poi facessero a meno di usare 'sto terribile vocoder del menga...). C'è una metropolitanità disperata, irredenta, sublimata qua e là nell'elegia (pure i 50 secondi di "Sunflower" riescono a incantare), che per certi versi mi ricorda l'elettronica tra ambient, house e trip-hop dei secondi '90. Come ischeletrita, però. Un'apocalissi silenziosa, appartata, implosa. "Too many kids" apice (qui ci sono anche i Massive Attack), con "Keep me there".

synth_charmer (ha votato 7 questo disco) alle 19:39 del 28 febbraio 2011 ha scritto:

ma dico, non lo facciamo un applauso al target che con grosso sforzo sembra aver sconfitto la proverbiale tirchieria, superandosi con un 8 ad un disco con cali nella seconda metà?

target (ha votato 8 questo disco) alle 9:59 del primo marzo 2011 ha scritto:

Eheh, è che la prima metà la trovo veramente splendida, e con prima metà intendo i primi 8 pezzi. C'è chi con 8 pezzi ha fatto capolavori (e chi, più recentemente, dischi salutati come il loro ennesimo capolavoro - eheh#2)!

salvatore (ha votato 7 questo disco) alle 11:42 del primo marzo 2011 ha scritto:

RE:

Colpiti e (soprattutto secondo me) affondati!

FrancescoB alle 13:41 del 8 marzo 2011 ha scritto:

Quoto su tutto Taget. Disco molto intenso ed affascinante: non (ancora) un capolavoro, ma avercene.

hiperwlt (ha votato 8 questo disco) alle 17:33 del 13 aprile 2011 ha scritto:

lavoro difficile e poco classificabile (d'accordo con Carlo qui...nicolas jaar, se interessa, la definisce "super slow techno"!). affascina, e non poco, nel momento in cui le sovrapposizioni elettroniche e gli innesti ambient raggiungono un'omeostasi delicatissima. su tutte, dico "problems with the sun"e "balance her in between your eyes", per la seconda parte del disco; "keep me there" e "too many kids finding rain in the dust" per la prima. bella rece Gioele!

synth_charmer (ha votato 7 questo disco) alle 21:16 del 13 aprile 2011 ha scritto:

RE: "super slow techno"

non suona male manca un "bass" o "dub" da qualche parte, ma già ci siamo!

modulo_c (ha votato 8 questo disco) alle 22:16 del 20 aprile 2011 ha scritto:

fico

m'e' piaciuto, eccome. nuova ambient

, con un'ottima vocalita'

synth_charmer (ha votato 7 questo disco) alle 17:58 del 24 luglio 2011 ha scritto:

ieri al MeetInTown è stato uno di quelli che mi è piaciuto di più. Si è portato dietro altri 4 o 5 elementi, ha suonato di spalle chinato sulla tastiera, si girava verso il pubblico solo per i suoi assoli di sassofono. Ha saputo riproporre le atmosfere dub fusion, ci ha aggiunto una vena neo-psichedelica di sfondo che era un piacere, ed è stato abile a creare quel gioco di climax e distensioni tipico della dance, con ogni tanto brevi intermezzi di cassa in quattro morbida che esaltavano il pubblico. Bravissimo!

Filippo Maradei (ha votato 8 questo disco) alle 21:03 del 24 luglio 2011 ha scritto:

RE:

Lui m'è dispiaciuto un sacco non vederlo, ma ero in rosso perso con le finanze del mese... contento però per le buonissime impressioni. Grazie Carlè per il mini-report.

salvatore (ha votato 7 questo disco) alle 14:39 del 21 gennaio 2012 ha scritto:

Lavoro molto affascinante e molto complesso. Distante, a mio avviso, sia da Blake che da Woon. Qui mi sembra il minimalismo (inteso nel senso classico del termine), l'asse portante. L'iniziale Etre, è quasi musica concreta, per quanto ne capisca davvero poco...

Too many kids è spettacolare e bellissime sono pure keep me there, problems with the sun e I got a woman. A volte però cade un po' troppo nel cerebrale e la cosa non mi entusiasma del tutto. E' un lavoro articolatissimo e curato nel più piccolo dettaglio, ma perde qualcosa in piacevolezza. La ricerca è importantissima. Quando si unisce al piacere diventa sublime.

Qui non sempre succede...

target (ha votato 8 questo disco) alle 14:59 del 15 maggio 2012 ha scritto:

Piccola curiosità (magari per collezionisti), che è anche un piccolo aggiornamento per chi vorrà acquistare il disco: lo scorso autunno sono state ritirate dai negozi tutte le copie dell'album, che è stato ristampato - per ora solo su LP - senza la traccia 6 ("I got a woman"). Pare che ci siano beghe legali su un sample contenuto in quel brano.