Father Murphy
Anyway, Your Children Will Deny It
Attualmente impegnati in un tour americano di spalla a Xiu Xiu e Dirty Beaches, i Father Murphy si confermano con questo Anyway, Your Children Will Deny It una delle migliori band italiane da esportazione. Di più: una delle migliori band italiane e basta.
Non so quanto si possa parlare, come suggerisce Reynolds, di una corrente di psichedelia funeraria italiana, nata in un maledettissimo incrocio tra tradizione noir morriconiana, sperimentalismi di lunga memoria post-punk (This Heat, Throbbing Gristle) e residui di cattolicesimo penitenziale. Giovani leve che si autoflagellano. Trentenni che si scorticano cercando in sé le colpe (perché ci dovranno pur essere, delle colpe) e le redenzioni. Certo è che, tra Heroin in Tahiti, Mamuthones, OvO e altri, qualcosa sta succedendo, e i Father Murphy della messa nera sono gli indiscussi celebranti, tanto più con questo lavoro, ormai alle soglie di un industrial per anime dannate.
Già nellep No Room for the Weak (2010), dove diventavano più potenti e intense le lacerazioni esposte in ...And He Told Us To Turn To The Sun (2008), il motivo della colpa era centrale, e dava alle lamentazioni del Reverendo Freddy e alle ulcere assordanti di Chiara Lee e Vittorio Demarin unurgenza dallimpatto violentissimo. Qua quei motivi, introdotti dalliniziale How We Ended Up With Feelings of Guilt (in forte continuità con lep), vengono elevati allennesima potenza, grazie anche alla produzione di Greg Saunier (Deerhoof). I suoni delle chitarre, al solito scuoiate nel silenzio, ti si incidono addosso a furia di sfregi, mentre rispetto al passato cè una maggiore coralità nellimpasto sonoro, con lorgano in cimiteriale esaltazione e i tocchi di batteria, meno detritici che altrove, ancor più profondi (sentire il requiem finale del primo pezzo per credere). Si sente, in sostanza, che lalbum è nato in studio, e non in sede live. Nuova maturità, e nuovo salto in avanti.
Leffetto è un suono che atterrisce. Nel senso di terrore, e di terra. Tra palate di distorsione e deliri doom, si attraversa il disco con sensazioni disturbanti, provando allinizio listinto di schivare (skippare) i colpi. Ma poi ci si immerge nellapocalissi, facendosi corrente con la corrente (In the Flood With the Flood: forse la cosa più devastante della musica italiana tutta). Quattro pezzi più lunghi, tutti strazianti, si alternano a quattro momenti che un poco leniscono le pene, o almeno cercano di sciogliere nei riti dellorgano e dei mantra vocali i dolori altrove scaraventati con una furia imprevedibile, da cui riesce impossibile difendersi. It Is Funny, It Is Restful, Both Came Quickly è una mitragliatrice che frastorna, fino alle grida finali che dicono quanto faticosa sia, in realtà, la discesa ctonia che ci tocca, mentre lepica di In Praise of Our Doubts fa da megafono alla deriva, con gli archi a trasformare tutto in un minaccioso sacrificio. Classicista, sì, ma smembrato, tanto che sfocia in un de profundis insozzato dal fuzz, nerissimo. Rest in pece.
La verità è che con questo disco i Father Murphy si inoltrano in territori dove nemmeno i loro maestri (dagli Swans agli stessi Deerhoof, dagli Os Mutantes ai Black Heart Procession) hanno osato mettere piede. Forse intuendo di non poter andare oltre, il trio trevigiano alla fine lascia filtrare un minimo spiraglio (Dont Let Yourself Be Hurt This Time), suggello salvifico a un disco che offre unimmersione nei propri demoni senza pari. Che è forse lunico modo per sconfiggerli. Cioè, per imparare a conviverci.
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