Lali Puna
Our Inventions
L’indietronica mitteleuropea fu una delle espressioni più rappresentative dell’inizio del decennio scorso: diceva la nuova architettura futuribile, i panorami urbani e le periferie finanziarie (chessò, una Canary Wharf a Londra, la ‘nuova’ Berlino), i luoghi asettici e le geometrie lineari (cfr. la scena d’apertura de “Le Conseguenze dell’Amore” di Sorrentino), la sera che calava addosso alle vetrate dei palazzi e tutta la dolce sensibilità, un po’ smarrita, che si nascondeva dietro. I Lali Puna sono stati questo, al massimo grado, come quintessenza. L’elettronica in una possibile declinazione delicata, le interferenze glitch come disturbi ossessivi e impercettibili tic nevrotici, la voce di Valerie Trebeljahr ad anestetizzare, con quella sua celestialità che non si riesce mai a ricondurre a un eccesso di robotica anodina o di impalpabilità sovrumana.
Ma ora, dieci anni dopo, qual è il senso del suono ‘Morr Music’? L’ultimo Notwist (“The Devil, You + Me”: giova ricordare che Markus Acher è membro in comune tra i due progetti teutonici) e l’ultimo The Go Find (“Everybody Knows It’s Gonna Happen Only Not Tonight”), pur su standard piuttosto distanti, lasciavano trasparire la fatica del genere nel decodificare anche questi tempi, e la riproposizione quasi immutata della stessa ricetta non aiutava. Lo stesso vale per il nuovo Lali Puna, atteso da ben sei anni, ma niente di più, tutto sommato, che una discreta citazione dei lavori precedenti: l’esercizio formale è impeccabile, le canzoni ci sono, ma l’effetto non è più quello di un tempo. Mancano sviluppi, tentativi di sterzata, deviazioni, fuoriuscite esplorative, quali forse era lecito attendersi, visto l’ambito sonoro non propriamente reazionario né di certo statico.
La prima parte del disco, soprattutto, resta su buoni livelli, con i consueti strati di tastiere, puntellati volentieri da campanelli e fraseggi di chitarra sottopelle, su cui la voce disegna melodie gentili (“Remember”, “Rest Your Head”), addirittura introverse per scheletrizzazione del beat (“Our Inventions”). I pezzi sono ormai ripuliti dalle intromissioni di rumorismi e disturbi, tranne che in qualche passaggio più spigoloso – cfr. “Move” e l’immancabile strumentale (“Future Tense”) –, col che ne risulta un’atmosfera un po’ più sedata rispetto ai dischi precedenti, al limite del torpore, tanto che infastidisce l’uso del vocoder nella superflua “Hostile To Me”. Colonne sonore per perlustrazioni metropolitane notturne ne rimangono ancora (“That Day”, “Safe Tomorrow”), dimostrazioni che la stoffa c’era e c’è: i Lali Puna restano una realtà che una sua impronta riconoscibile alla storia della musica l’ha data.
Chi sperava che potessero darne un’altra, però, rimarrà deluso. Non sono nuove ‘invenzioni’, queste, ma una gradevole galleria di quelle vecchie.
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