The Notwist
The Devil, You + Me
Mancavano dal 2002, Martin Gretschmann, Markus e Michael Acher, congedatisi dalla scena internazionale con quello che probabilmente passerà alla storia come il loro capolavoro Neon Gold.
Si sono presi il loro tempo investendone quanto più ne avevano a disposizione per dare la forma più consona all’ evoluzione del Notwist sound: un melting pot sperimentale di jazz, elettronica, kraut, post rock e minimalismo declinato in un contesto eminentemente melodico e pop.
Rispetto al suo predecessore The Devil, You + Me denota un suono più denso e stratificato nella cui combinazione i vari elementi elettroacustici convivono simultaneamente creando un senso di molle pienezza e di modulata dissonanza. Significativo, in questo senso, il contributo della Mega Express Orchestra, un ensemble di stanza a Berlino e composto da giovani musicisti provenienti da tutto il mondo che suona un miscuglio fra jazz, contemporanea e colonne sonore. Ne scaturisce un disco asintotico eppure rigoroso, definito ed espanso, una sorta di folk cosmico arrangiato da un’orchestra siderale in assenza totale di gravità.
Good Lies decolla dolcemente su propulsori post emo, Where In This World drappeggia il suo pop barocco su un tappeto di chiodati break beat, Gloomy Planet da alla luce un glitch folk brasileiro rarefatto in pulviscolo interstellare e concentriche digradazioni kraute, Alphabet pesta con foga sui tasti più glitch e noise del sintetizzatore, la title track sembra un’ ode californiana di James Taylor processata da Hal 9000, un gioiello berlinese non fosse che la band è di Monaco, Gravity è un lunghissimo arpeggio amniotico frastagliato di controtempi, Sleep, una ninna nanna dub tempo, On Planet Off, uno scarno traliccio tardo bristoliano annodato da un picking acustico su un mellotron d’antan, Boneless è percussiva, saltellante, spensierata, eterea, disincarnata, come ubriacarsi di sangrilla e poi slacciarsi le cinghie e nuotare sul dorso sfiorando il tetto della navetta spaziale, Hands On Us è l’inevitabile dissolversi di tanta euforia e lo scoprirsi di nuovo nel proprio prigionieri delle leggi newtoniane, la floreale Gone Gone Gone è il commento del feto astrale, il seme bucolico che ha fecondato le profondità dell’interspazio.
E noi, sul ciglio dell’universo, a chiederci se laggiù sulla terra invecchiata anni luce c’è ancora qualcuno che c’aspetta.
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