Lcd Soundsystem
This Is Happening
Propongo una sfida: affidare a James Murphy il remix o la produzione di un album dell’orchestra di Raoul Casadei. Scommetto che riuscirebbe a far suonare cool e catchy anche le fisarmoniche infuocate da balera romagnola dell’immortale beniamino della riviera.
Furbo il nostro James.
Centellina album con il contagocce (tre in dieci anni, e di media nove/dieci canzoni per album), tutti vorrebbero essere remixati da lui (sotto sotto anche Raoul), tutti vorrebbero essere prodotti da lui, tutti vorrebbero lavorare con lui. Le popstar gli sbavano dietro, le indie band hanno la sua faccia anonima e grassottella appesa al muro, ma lui niente, non si concede a nessuno se non a se stesso (forse a voler conservare una certa integrità artistica. Sarebbe una bella domanda da porre al diretto interessato).
Ma qual è questo talento inviolabile ed inviolato di James Murphy? Ecco, il punto non è cosa fa, ma Come lo fa; Vale a dire come fa suonare (nel vero senso della parola) un genere che sta per sfondare la soglia degli “anta” come la Dance e tutti i sottogeneri che si porta con se. Di come ha rinnovato, e rinnova tutt’ora dal suo interno, uno stile così variegato eppure chiuso nel suo recinto. Perché ad orecchie attente, il suo non è altro che Funk intriso di Dance, ritornelli Pop da dancefloor, un pizzico di Punk lo-fi e beat semplici ed essenziali tanto cari ai rockers “krautonici”.
Ma non sono forse i battiti serrati del Motorik di casa Neu! A gettare le basi dei beat Dance a venire? Non sono forse i bassi pulsanti del Funk il cuore melodico e ritmico della Dance? (da quella cafona di Gigi D’Agostino a quella più ricercata ed elegante di Four Tet, fino ad arrivare all’elettronica d’avanguardia di Autechre e il roster di casa Warp). Ed i coretti melodici orecchiabili e nonsense, messi li solo perché suonano bene dalla tradizione pop? (Pow Pow). Ecco, nella carriera degli Lcd Soundsystem c’è tutto questo e anche di più, perché quel genio di James Murphy non si limita a ricalcare le linee della tradizione danzereccia, ma le ripassa con un evidenziatore fluorescente, disegnando linee e “Great Curves” (i Talking Heads sono sempre dietro l’angolo ad osservare orgogliosi) alternative lungo il tratto.
L’introduzione al disco (Get Yourself Clean) si apre con un leggero tappeto percussivo sommesso e coretti dal gusto pop/soul appiccicosi, interrotti bruscamente dall’innesto fragoroso della batteria, contornata da synth cangianti ed irregolari che pulsano di un cuore funk impazzito.
Drunk Girls ricalca le linee melodiche e ritmiche di White Light/White Heat sfiorando il plagio, mentre One Touch si immerge nei mari oscuri e densi della techno più verace di matrice Detroitiana, per poi lasciare spazio al calore bianco di All I Want, una Heroes versione 2.0 che si inerpica fra lamenti ondosi di chitarra e ritmiche in climax emozionale intrappolato al suo apice; 6’ e 35’’ di puro cuore.
Si sfiorano i lidi minimal à la James Holden nell’electro-Soul di I Can Change in cui si staglia un ritornello killer da antologia, mentre segue il funk basilare e asciutto di You Wanted A Hit, incentrata sulla visione sarcastica dell’ansia da prestazione (“You wanted a hit/but maybe we don’t do hits/I try and I Try/It ends up, feeling kind of wrong”). Il ritornello catchy e nonsense di Pow Pow è da tesi universitaria per la facoltà del Refrain, col suo tappeto funk bianco remore dei Talking Heads, mentre Somebody’s Calling Me aleggia in un'aura di pigrizia acida e sfocata da risveglio post-nottata devastante. Il colpo di grazia finale è affidato alla semplicità funk di Home, pulsante di palpitazioni sistoliche e tremolio emozionale che esplode in cori di pura melodia trascinante e malinconica, dimostrando che anche i feticisti del dancefloor hanno un cuore.
James Murphy fa semplicemente quello che fanno tutti, ma meglio di tutti.
Ultimo impavido rimasto solo al centro del dancefloor, con il cuore in mano.
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