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R Recensione

5/10

Bologna Violenta

Uno Bianca

Prima di iniziare, una doverosa precisazione. Non è certo una palinodia, se scriviamo oggi del terzo full length di Nicola Manzan a nome Bologna Violenta, dopo quasi otto mesi dalla sua uscita: né, sicuramente, una dimenticanza. Confidavamo, molto più modestamente, nel fatto che l’accumularsi dei giorni avrebbe portato con sé, come una risacca con i detriti, la scia delle inutili polemiche sollevatasi attorno alla decisione, da parte del polistrumentista trevigiano, di scrivere un concept sulle tragiche scorribande dell’ahinoi celebre Uno Bianca. Tanto capzioso e strumentale era risultato il dibattito – come se Manzan, peraltro in continuo contatto con l’associazione delle vittime, avesse mai espresso la volontà di esaltare i crimini dei capibanda – quanto, a conti fatti, difficile scinderlo da ciò che avrebbe dovuto essere considerato il vero nucleo dell’analisi: la musica. Abbiamo, dunque, preferito aspettare, per non lasciare che il nostro giudizio potesse venire inquinato da bagatelle estranee alla sostanza e alla fortuna del disco.

In questi mesi Bologna Violenta ha percorso la spina dorsale dell’Italia con l’ennesimo tour di raffinatezze e brutture. Ma quanto, in percentuale, delle une e delle altre? Nel 2006 – prima apparizione al seguito dell’omonimo EP – ci saremmo sbilanciati generosamente sulle seconde: non che ci si possa aspettare granché, d’altro canto, da un lavoro che il suo stesso factotum descrive costruito sui titoli dei brani ancor prima che sui brani stessi. Nel 2010 la musica (è il caso di dirlo) cominciava a cambiare: il mondo non era proprio nuovissimo, ma almeno più equilibrato. Due anni più tardi il ribaltone della maturità, un “Utopie E Piccole Soddisfazioni” che – dietro la finta maschera dell’arrabattamento hc – fondeva potentemente iconoclastia cybergrind, classica digitalizzata e riff mastodontici: giù il sockpuppet Bologna Violenta, dentro Nicola Manzan. Ed ora, Domine, quo vadis? Con i – sufficienti – mezzi a propria disposizione, il bervismo tuttofare del Nostro cerca di scalare il successivo, probante gradino dello status artistico: dopo il riassetto musicale, l'incanalamento delle nuove energie nel restauro concettuale.

Il bersaglio teorico, lo diciamo subito, viene marchianamente mancato: troppo esile il filo tematico per giustificare un’intera operazione su di esso costruita. A convincere poco è, purtroppo, anche l’apparato prettamente strumentale. I ventisette movimenti vanno a riunirsi in un quadro unitario tanto solido quanto prevedibile. La pienezza di forma delle “Utopie” aveva colpito anche i più incalliti detrattori: in “Uno Bianca” torna a prevalere il tratteggio, il bozzetto (con il carico di decadenti dissonanze di “30 aprile 1991 – Rimini: attacco pattuglia Carabinieri” o il patetismo da gabber di “22 dicembre 1990 – Bologna: attacco lavavetri extracomunitari”). Va a finire che l’ortodosso continuum, accentuato dal rintocco di una lugubre campana a morto lungo tutto il disco, ammansisce invece di scuotere, annoia invece di stupire: lo stornello che invade “23 dicembre 1990 – Bologna: assalto campo Rom” si infila in un cul de sac di effettacci, l’azzeccato andantino death di “4 gennaio 1991 – Bologna: attacco pattuglia Carabinieri” si cristallizza in schegge di ambient criptosacrale (con ridondante samplizzazione di una cronaca giornalistica dell’epoca), le aperture barocche d’archi in “2 maggio 1991 – Bologna: rapina armeria Volturno” regalano attimi di palpitante coinvolgimento che tuttavia si dissolvono in breve tempo, al palesarsi delle raffiche techno-classiche di “30 gennaio 1988 – Rimini: rapina supermercato Coop”, del modestissimo attacco hardcore di “3 marzo 1994 – Bologna: rapina banca”, del vuoto che fagocita il requiem finale di “29 marzo 1998 – Rimini: suicidio Giuliano Savi”.

Manzan alterna e giustappone freneticamente campioni, friggioni elettroniche, pesanti distorsioni e tensioni violinistiche. Quello che ha sempre fatto, a ben vedere: un conservatorismo ben temperato che sigilla ulteriori, promettenti visioni evolutive. Sia sintomatico pensare al fatto che questa recensione, così come l’avete letta, si differenzia in minimi dettagli dall’originario disegno di febbraio.

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