Ufomammut
Eve
This Tree is not as we are told, a Tree
Of danger tasted, nor to evil unknown
Opning the way, but of Divine effect
To open Eyes, and make them Gods who taste
(Paradise Lost, John Milton, libro IX, 863-866)
Cari amici vicini e lontani, oggi vi racconterò una storia. Ma non una qualsiasi, certo che no. Una, bensì, che affonda le sue radici nei primordi. Che parla di caduta e redenzione, condanna e fatica, liberazione e schiavitù, donna e uomo, Dio e uomo, Oriente ed Occidente, bene e male. Un mito che parla attraverso strascichi di chitarre, come le catene che vincolano i polsi della stirpe mortale. Galoppanti cavalcate, quelle della conoscenza umana. Agonizzanti textures strumentali per i buchi che traforavano il Frutto Proibito. Millenni filtrati da storia, leggenda, civiltà, sentimento comune. Con un solo, fisso denominatore comune: Eva. Eve. Colei che diede inizio alla ribellione delluomo verso il suo Creatore, rinunciando ad unesiodea età delloro pur di elevare la condizione del proprio Io.
La narrazione in dipanarsi degli Ufomammut, coriaceo power trio di Tortona, ad appena due anni dal già fondamentale Idolum, aumenta lo spazio da bersaglio disponibile per tracciare barricate e confini tinti di tricolore, con sempre maggior sicurezza, allinterno dello stoner-doom mondiale. È un esperimento, quello dei Nostri, che guarda allo smembramento relativistico della canzone as we know it portato avanti dai compagni detichetta MoRkObOt: una macrotraccia, quasi una suite, di quarantacinque minuti, sciolta in cinque movimenti che piantano una trivella sul terreno e calano in profondità, toccando abissi ancora più immensi di quelli sfiorati dai poderosi bassi del suo predecessore. Eve toglie parole, collaborazioni, vuoti: persino il pregevole stile plurifocale, sviluppato in oltre un decennio di dischi e concerti, cede il passo ad una parlata monolitica, intrepida, incessante. Restano solo basso, chitarra e batteria, poca effettistica, con tutte le conseguenze del caso: nasce, ex nihilo, una Genesi mefistofelica, arroventata ma, soprattutto, incredibilmente psicologica, capace di evoluzioni minime e minimamente accennate e comunque costanti, laboriose, particolareggiate.
La bellezza del quinto parto fra le mura padronali di Supernatural Cat è, daltro canto, il saper volgere le citazioni a proprio favore. Eve lo fa con gusto, senza spudoratezza, ansia da prestazione o terrore di nascondersi. Si accalcano i Neurosis di Through Silver In Blood, gli Electric Wizard di Dopethrone, i Sunn O)), gli EyeHateGod, gli Sleep. Così come Dio plasmò luomo, a sua immagine e somiglianza, dal fango e dallargilla, gli Ufomammut modellano gli assunti del nuovo lavoro, a loro immagine e somiglianza, sullo sludge, sul doom più catalettico, sul post-core, sulle impalpabili vibrazioni psichedeliche. È il vantaggio aggiunto di saper dosare la violenza o, comunque, farla filtrare sotto altre vesti, più terroristiche e meno eclatanti, quello che davvero cambia le carte in tavola. Il gioco non si era mai fatto così interessante, anche perché mancavano le condizioni globali per puntare dazzardo a tale altezza. Di fatto, la band piemontese rifonda sé stessa, senza bisogno di rinnovarsi platealmente, a livello epidermico. Basti far caso, per sfizio, a come il filo rosso del concept, pur strattonato e rilasciato ad intervalli graduali, non si spezzi mai, né perda la propria posizione: esempio massimo della maturità a cui sono giunti.
Come già detto, capita raramente che il lato più feroce del disco venga fuori. Quando però succede, limpeto tumultuoso è così straripante da provocare genuina soddisfazione. Rieccolo, il mammut che stritola la polvere sotto le sue zampe, in un vuoto saturato dallo strappo metal della disobbedienza (Pt. III), mietitrebbia perfetta per essere traghettata, smontata e rimessa in moto nelle scartavetranti entrate cosmic-stoner rock, di fisicità nuda e cruda, della Pt. IV. Il lato meno nero e più esplicito esce allo scoperto ed evapora con la furia gelida della punizione divina. Decodificare il resto è calarsi nella mente dei protagonisti, armarsi di recettività e sbrogliare matasse di pensiero. Lipnosi dellattacco, Pt. I, si potrebbe risentire per giorni e giorni senza mai smettere, tali e tante le sottigliezze che emergono, un po per volta. Il lento crescendo esponenziale, che porta la bordata iniziale a disfarsi nella progressione drone-kraut arpeggiata, ha in sé un germe ieratico, la cui imponenza è amplificata dagli strati di suono e dai cori, sino a collassare in unavviluppata esplosione noise di catartico stridore. Alea iacta est, il peccato si è compiuto: Pt. II ritorce, contro la propria natura, i tribalismi del doom classico, appioppando manate di sacralità profana da vertigine emotiva. Ed il punto di rottura decisivo non poteva che giungere, liberatorio, nella seconda metà di Pt. V, un panzer che mette la freccia con notevole preavviso e svalvola le sue lancinanti non-strutture in un delirio free-form di bassi sempre più bassi.
Il rumore del giudizio è passato, rimane ora solo il silenzio della fatica e lamarezza della nuova condizione. Eva ci ha portato il sapere, togliendoci la libertà. Come nelle conclusive nuvole di synth di MoRtO Part 3 dei MoRkObOt, od il ticchettio insistente in coda a Die Zeit del Teatro Degli Orrori, il sipario degli Ufomammut si cala su un acre riff a reiterazione sulfurea, così ciclico da risultare inconcluso, infinito. Il contraltare del feedback con cui tutto ha avuto inizio, una porta socchiusa verso orizzonti informi e vagheggiati.
La conclusione è aperta: leggetevi pure quello che volete. Noi, semplicemente, vi abbiamo riconosciuto lo svelarsi definitivo di una delle più grandi band italiane.
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