Motorpsycho
The Tower
Che The Tower potesse essere il Black Hole / Blank Canvas dei Motorpsycho degli anni 10 era un sospetto fondato, suffragato da molteplici assonanze circostanziali: lurgenza di ripartire di scatto dopo lesaurimento di un proficuo rapporto professionale (lì Håkon Gebhardt, qui Kenneth Kapstad), lambizione di farlo su scala colossale (nel formato del doppio disco), la volontà di riassumere nel dettaglio una narrazione pluridecennale. È una lezione di stile, sincerità ed integrità artistica coi fiocchi, baby, uno state of mind perenne. Non importa se la carta didentità segna venticinque o cinquantanni: oggi come ieri, limperativo rimane Never surrender!, esattamente come il coro cantato a pieni polmoni da Bent Sæther e Hans Magnus Snah Ryan nella prima parte di Ship Of Fools.
Qualcosa da dire, comunque, cè, perché la storia recente dei Motorpsycho del 2017 diverge sensibilmente da quella dei Motorpsycho del 2006. Labbondanza episodica di Black Hole / Blank Canvas, nel tentativo parzialmente riuscito di ricreare i fasti dei capisaldi degli anni 90 attraverso la lente dellinteressante rinnovamento psych pop del trittico Let Them Eat Cake Phanerothyme Its A Love Cult, si transustanzia nella fluviale logorrea di The Tower, a dispetto di una tracklist numericamente contenuta e di una durata complessiva praticamente identica (si toccano gli ottantacinque minuti in entrambi i casi). Lunico, reale punto di contatto musicale tra i due doppi è, qui, il non indimenticabile singolo A.S.F.E., una sciabolata hard rock à la Blue Öyster Cult che sovrappone le melodie di No Evil alle ritmiche di Kill Devil Hills. In verità, The Tower è ben lontano da quella levità pop dinsieme (non ingannino lelegante West Coast dannata di Stardust e le armonie southern del folk anglosassone di The Maypole, i due ottimi ma isolati episodi acustici di metà scaletta): si può anzi affermare che, nellormai sterminata discografia dei Motorpsycho, questo sia lepisodio più denso e voluminoso (altri direbbero ingombrante). I richiami che gli appassionati potranno cogliere, non casualmente, sono alle jam old style di Heavy Metal Fruit e alle sovrastrutture concettuali di The Death Defying Unicorn, album con i quali The Tower condivide lamore per fughe e digressioni strumentali e, soprattutto, un certo insistere sullestetica sonora, sul gusto per il preziosismo e il tecnicismo.
Almeno un paio di lampi funambolici, va riconosciuto, fanno brillare il primo disco. Sublimi, ad esempio, sono i breakdown heavy di Bartok Of The Universe, con un riff dapertura che sembra distorcere il doom in salsa seriale. Efficaci anche i ripiegamenti jethrotulliani che imbrigliano lirrefrenabile solismo acido di Snah nella giga hard prog di In Every Dream Home (Theres A Dream Of Something Else) (il flauto viene suonato da Alain Johannes), mentre The Wishboner allinterno della title track dapertura è la vetrina per i contorsionismi muscolari della new entry Tomas Järmyr (per il resto, insolitamente discreto). Che lequilibrio di fondo sia precario, tuttavia, lo dimostra già Intrepid Explorer, uninterminabile improvvisazione jazzata su una head vicina alle svisate blues del Barrett di A Saucerful Of Secrets. Le incrinature divengono vieppiù evidenti con lappropinquarsi del secondo disco, dove la band rinuncia quasi completamente al formato canzone per immergersi in estenuanti torcide strumentali. A Pacific Sonata, solo per un attimo, sembra riscoprire la toccante semplicità delle melodie acustiche di Timothys Monster: ma già in Malibu (che ricorda da vicino Hell, Part IV: Traitor) la band marcia compatta ad altezza floydiana, per poi avvilupparsi, in Stunt Road, in un velleitario gorgo di mellotron ed archi trainato dal basso di Sæther. La trionfante epica rock di Ship Of Fools aumenta improvvisamente di giri, prima di impantanarsi in un finale-non finale dove la pasta hardnheavy delle chitarre di Snah viene graffiata da violini scordati e magniloquenti rinterzi di Hammond. Stretti tra questi due inconcludenti mastodonti, anche gli interessanti orientalismi di The Cuckoo (con una chiusura, teatrale e scurissima, davvero particolare) vengono ridimensionati di conseguenza.
Nel suo proporsi come sintesi e superamento dei precedenti quindici anni, Black Hole / Blank Canvas fu capace di rilanciare una nuova, eccitante fase della carriera dei Motorpsycho. Sebbene con qualche dubbio in più, lauspicio è che anche The Tower, estremizzando tutta una serie di istanze latenti nei full lengths dellultimo decennio, possa voltare pagina e costituire la rampa di lancio dellennesimo rinnovamento. Il disco è stato registrato in tre settimane ai White Buffalo Studios di L.A. e al Rancho De La Luna di Joshua Tree e viene corredato da un doppio 7 in vinile (The California EP) smerciato come già linterlocutorio Here Be Monsters Vol. 2 dello scorso anno esclusivamente ai concerti.
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