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R Recensione

5/10

Mammoth Weed Wizard Bastard

Yn Ol I Annwn

Nel giro di appena qualche anno, quelli che intercorrono tra la formazione della band, il rilascio dell’esordio “Noeth Ac Anoeth” (New Heavy Sounds, 2015) e il presente “Yn Ol I Annwn”, il quintetto gallese Mammoth Weed Wizard Bastard (per il principio: tutti i nomi sono stupidi e tanto vale scegliersene uno più stupido degli altri) è riuscito a costruirsi una solidissima reputazione underground, che per intensità e costanza non si vedeva da tempo. Ad essere completamente sinceri, d’altro canto, nella conformazione e nella proposta della band non mancano certo elementi di interesse: l’eterea voce femminile di Jessica Bell (qui chiamata anche al violoncello), le sovrastrutture sintetiche (moog e sequencer sono manovrati sia dai chitarristi Wes Leon e Paul Michael Davies che dal bassista Stuart Sinclair), un’atipica scrittura che alle stratificazioni progressive antepone sognanti squarci ambientali. Questo, su carta, lo stuzzicante antefatto. Ben diverso, e ridimensionato, è purtroppo il risultato finale.

Tanto e tale armamentario teorico, nei sessantacinque minuti di “Yn Ol I Annwn”, produce solo due brani degni di nota. Il primo è una crepuscolare ballata goth-gaze, “Du Bist Jetzt Nich In Der Zukunft”, su cui le evoluzioni vocali della Bell (una Julie Christmas adamantina) giocano a nascondersi tra le anse dei sintetizzatori, con effetto insieme barocco e leggiadro. Il secondo è la suite conclusiva, “Five Days In The Abyss”, che spezza la continuità di cicliche frasi post-sabbathiane con segmenti di pura astrazione cosmica, di intarsiate lallazioni aliene. Il resto, prima ancora che sfiancante (decisamente troppo elevato il minutaggio medio), è semplicemente di risibile qualità. Ad un passo dal plagio è “The Spaceships Of Ezekiel”, che cita quasi pedissequamente il crescendo della seconda parte di “Stigma” degli Ufomammut. Le bolse sequenze chitarristiche di “Katyusha” – cui non basta un dinamico rovescio della medaglia stoner-oriented – sono predicibili nel dettaglio, anche senza bisogno di alcun algoritmo. Il folk fiabesco di “Fata Morgana” indovina la progressione melodica, quasi fuori dal tempo: il tutto si perde poi in una modesta esibizione elettrica che dei St. Vitus conserva unicamente il simulacro. La banalità dei riff – peccato mortale per chi voglia dedicarsi al genere! – condiziona anche l’andamento del discreto doom di “The Majestic Clockwork”, infilzato da torniture di violoncello e accelerato in un finale monumentale.

Seppur cronicamente incapace di prevedere qualsivoglia tendenza, presumo che uno degli argomenti forti, in grado di aver benevolmente influito sul giudizio di molti, sia la prolificità dei Mammoth Weed Wizard Bastard (“Yn Ol I Annwn”, full length numero tre, arriva a solo qualche mese di distanza da “Totems”, split in 12” coi nordirlandesi Slomatics). Ma c’è prolificità e prolificità, e continua ad essere sin troppo facile scrivere e produrre dischi di questo tipo: non v’è davvero nulla di più da sapere ed ascoltare di ciò che affiora in superficie – che è, sciaguratamente, poco.

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