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R Recensione

6,5/10

Ufomammut

Oro: Opus Primum

Non servirebbero troppi giri di parole: eppure. Povero “Oro”, segnato sin dalla nascita. Le vedi?, le prefiguri già, nella mente (in quella mente che torna, e ritorna, e ritorna…) tutte quelle banalità che il popolo del web riuscirà a rovesciarti addosso? Che i tuoi creatori hanno inciso altri cinque LP prima di decidersi a darti alla luce: famiglia allargata, fratellanza importante. Che, come tutti gli ultimogeniti, sei stato baciato da una fortuna del tutto singolare, ché non grazie all’egida materna, i diabolici occhi rossi e le movenze rocciose di Supernatural Cat, sarai accompagnato alla luce del sole e tra le lontane terre estere, bensì sotto l’ala inflessibile di Neurot, osservato a vista dalla fissità glaciale dello sguardo di Steve Von Till. Che il tuo nome rievoca il metallo degli alchimisti, la conoscenza perduta – quella dannata mela primordiale! – e, al contempo, la forma latina, declinata alla prima persona singolare, del verbo “pregare”. Che, come per ogni partenogenesi che si rispetti, dovrai dividere la posta del banchetto (sei pur sempre “Opus Primum”, memento) con un gemello complementare (the so-calledOpus Alter”), la metà della mela, la quadratura del cerchio di un ambizioso progetto alla ricerca, chissà, di una spalla visual che possa incarnare al meglio tutte le tue peculiarità sottese al granitico credo di quelli che “la prima botta non si scorda mai”.

Sugli Ufomammut, mi sono accorto, ho sempre speso panegirici, per tre ragioni almeno. Ovvia la prima: sono uno dei miei gruppi preferiti. Banale la seconda: sono uno dei più grossi grassi vanti italiani all’estero (sia mai che in Italia qualcuno pigli una mazzata in testa, sia mai…). Sottile la terza: ogni loro lascito causa, inevitabilmente, manie di grandezza in chi sa ascoltare e complessi di inferiorità in chi deve giudicare. A partire da “Idolum”, il tassello decisivo nel divellere pregiudizi e sdoganare il circondariato doom italiano all’occhio popolare, i ragazzi di Tortona sono, progressivamente, divenuti altro: non (solo) un power trio in grado di far rimare subwoofer ed afflati psichedelici, bassi dell’oltretomba e proiezioni astrali, ma (anche) l’anello di congiunzione che mancava tra fisicità sludge e mood minimalistico. Per dirla in altri termini: un suono che è diventato, disco per disco, tangibilmente più potente e più essenziale. Proprio “Idolum”, a posteriori, che pure cullava in seno irreprimibili tentazioni iterative, si può definire, oggi, ultima opera interamente incentrata sulle canzoni. “Eve”, Anno Doom 2010, realizzava un importante passo in avanti: condensare quanto disperso tra più scomparti ed impacchettare l’impacchettabile nell’ambito di un unico, continuo, nerastro fluire, tra echi e riprese, ponti e ritorni, derive ed approdi, effettistica e boati apocalittici.

Se “Eve” annullava la distinzione ontica tra un brano e l’altro, “Oro” – dicitura con cui, per comodità, intenderemo riferirci, per l'appunto, ad “Opus Primum” – si spinge al limite, inventando sé stesso non nel contesto di una sola canzone, ma attraverso una prospettiva che stritola la verticalità delle precedenti opere e si risolve in un unico riff. Suonato doom, a scansioni spezzettate, ritmato heavy, di volta in volta completato armonicamente, ripreso, lasciato e riafferrato ancora, trasfigurato e sempre uguale. L’impresa in cui si sono lanciati gli Ufomammut, dopo aver messo in discussione il tecnicismo ed aver ridotto l’intervento vocale a comparsa corale, lamento in contrappunto, nota tra le note, fazzoletto di musique concrète dilaniato dalla distorsione (tanto che, non è azzardato sottolinearlo, non si farebbe brutta figura a considerare “Oro” un disco, il primo, strumentale), è di una difficoltà concettuale e musicale spaventosa. Una non novità che la sola, iniziale “Empireum”, sapiente tecnica post metal applicata all’immenso wall of sound dei Nostri – mefitico gioco gobliniano di tastiere, ripetizione ad libitum, tipica elettrificazione eviana per gradi ed asfittico boato totale che indica la strada dello spegnimento conclusivo – sembra voler stemperare, sciogliendo l’approccio iniziale in un impianto ben rodato e, certo, già conosciuto.

Il resto è hic sunt leones, territorio sconosciuto in cui procedere a tentoni, terrorizzati dal presagio psicologico di cosa si potrebbe parare davanti. Qualche volta gli spettri evocano, al più, solo le zanne luciferine dei vecchi, migliori Electric Wizard, e le nebbie si stemperano senza colpo ferire (“Infearnatural”). Ma la consapevolezza degli Ufomammut, pur senza dimenticare quanto i maestri hanno saputo elargire in passato, ha raggiunto livelli superiori. Il capolavoro di “Aureum”, aka tutte le strade portano al Doom (solo ed unico), condensa in dodici minuti e mezzo un’intera carriera, procedendo a zigzag tra St. Vitus, Melvins, vertigini neurosisiane ed enormi cappe valvolari a zanzara, regalandosi infine una parentesi super-heavy di straordinaria intensità, e tutto con l’ausilio dello stesso giro: chitarre alle mani – ed accordature ribassate di chissà quanto - per fare la prova. “Magickon” fa il verso alla colonna portante di “Empireum”, dilatandone le traiettorie verso lande cosmiche: unico accenno ad una psichedelia filmica che sembra essere del tutto svaporata, lasciando scoperto il nudo metallo. Conclude al meglio la pesantezza atlantidea di “Mindomine”, finto epilogo in opprimente crescendo, letteralmente arso vivo dalla friggione della distorsione: idea, rubata ai Motorpsycho, di riprodurre su supporto fisico la straripante potenza della dimensione live?

Opus Primum” non è un bel disco, nel senso canonico ed estetico del termine. Rappresenta tuttavia, nella sua interezza, una straordinaria istantanea di come il canone, laddove filtrato da un’opportuna sensibilità, possa trasformarsi in ottundente avanguardia. Saprà “Opus Alter” completare il discorso e superare, forse per l’ultima volta, queste ennesime, invalicabili colonne d’Ercole?

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Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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Cazzaniga alle 13:04 del 9 aprile 2012 ha scritto:

Ti scrivi troppo addosso per i miei gusti. Ci metti 6 righe solo per dire che esce sotto Neurot. Sembri più interessato a far sapere a tutti che hai fatto il classico, che non a parlare del disco. La supercazzola viene sfiorata in più punti ( "tipica elettrificazione eviana per gradi ed asfittico boato totale che indica la strada dello spegnimento conclusivo"). In altri, proprio non si capisce cosa tu intenda sostenere: Idolum sarebbe "il tassello decisivo nel divellere pregiudizi e sdoganare il circondariato doom italiano all’occhio popolare"? Ma cosa vuol dire? Parla del disco, che è meglio.

Marco_Biasio, autore, alle 20:19 del 9 aprile 2012 ha scritto:

RE:

Accetto la critica, anche se sottolineo - nemmeno troppo implicitamente - il fatto che non mi interessa dire che il disco sia uscito sotto Neurot. Ho preferito parlare di come, a partire da Idolum, lo stile degli Ufomammut si sia gradatamente improntato ad un crescendo di minimalismo dinamico e potenza sonora. Ho dato quella definizione virgolettata di Idolum perché, a mio giudizio (ma non solo mio), è stato quel disco ad aprire agli Ufomammut un circuito di ascoltatori più ampi e a far puntare i riflettori della critica nostrana sul doom italiota (ricordo, a proposito, l'intervista dell'epoca di Rumore). Per il resto (anche se l'esempio di presunta supercazzola da te riportato non lo comprendo: cosa ci sarebbe di così alambiccato in quella frase?) incasso. Sarò più sobrio nel parlare di Opus Alter.

Cazzaniga alle 8:23 del 12 aprile 2012 ha scritto:

Ma mi stai prendendo in giro? "Sottolineo - nemmeno troppo implicitamente": "implicitamente" a cosa, visto che lo stai sottolineando? Ti faccio notare che ci hai messo 6 righe per dire che esce sotto Neurot e mi rispondi che non ti interessa dire che esce sotto Neurot? Lasciamo perdere che è meglio.

Marco_Biasio, autore, alle 11:21 del 12 aprile 2012 ha scritto:

RE:

Questa polemica, più che sterile, sta diventando assurda. Ci metto sei righe per dire che il disco esce sotto Neurot, verissimo, ma basta dare un'occhiata veloce all'impostazione della recensione, o leggersi con un briciolo di accuratezza in più il primo paragrafo, per accorgersi che il dato in sé è, per me, irrilevante. Aldilà dell'ammirazione personale per il bel successo conseguito (che traspare ora nel mio commento, ma non c'è nella recensione) non vi è altro. Le preferenze sulla scrittura ci possono anche stare, ma impuntarsi su una piccolezza che non sta né in cielo né in terra (visto che tutta la recensione parla di tutt'altro, e mi sembra chiaro che il "tutt'altro" non ti sia interessato granché, altrimenti avresti risposto anche alle mie, di domande) è nonsense. Se si vuol fare polemica gratuita, partendo da alcune considerazioni critiche a cui mi sembra di aver risposto, mi sa che non sono il più adatto a reggere la candela. Se invece non si vuole discutere perché, in ogni occasione, vale il "lasciamo perdere che è meglio", allora è un altro paio di maniche.

Filippo Maradei alle 10:13 del 12 aprile 2012 ha scritto:

Gente che con la fobia per le subordinate, ci mancava solo questa... xD

Emiliano alle 11:21 del 12 aprile 2012 ha scritto:

Thumbs up, Marco. Disco e recensione. Il prossimo potrebbe essere il loro black album.

gull alle 14:37 del 12 aprile 2012 ha scritto:

@Marco: meglio che lasci perdere tu, tanto qualunque cosa scrivi la reazione è la stessa. Io ho il sospetto che dietro Cazzaniga si celi qualcuno a cui è andata storta qualche tua recensione. Un musicista, un produttore, un fan sfegatato di qualcuno. D'altronde se in circa un anno di permanenza su Storia il suddetto ha lasciato solo tre commenti, tutti unicamente di critica feroce alla tua figura di recensore, e con nemmeno una parola, che fosse una, di commento alla musica, una ragione ci sarà. Bah.