Ufomammut
8
Ricorrendo ad unabusata perifrasi, tutti i dischi degli Ufomammut sono circolari, ma alcuni sono più circolari di altri. Così, se lefficacissimo lavoro di sintesi del precedente Ecate si serviva del medium-composizione in un modo che non si sentiva almeno dal monstre Idolum e i due capitoli di Oro (Opus Primum e Opus Alter) costituivano lerculeo tentativo dei tre tortonesi di costruire un universo osmotico ed autosufficiente, il robusto filo rosso che lega e tiene uniti i movimenti di 8 (il numero dellinfinito, della giustizia trascendentale, della resurrezione: quando la semiotica di un titolo sottende interi universi) va a comporre una costruzione torreggiante che richiama lalveare-suite di Eve: un unico, maestoso brano di tre quarti dora, frazionato per comodità in segmenti che scivolano con naturalezza luno nellaltro.
Qui, tuttavia, finiscono i punti di contatto, perché il solenne sludge atmosferico di Eve ha ben poco da spartire con il magma corrusco e ribollente che alimenta i circuiti nervosi di 8 (con buona pace di chi, nel doom, confonde ancora prevedibilità con identità logica). Pur essendo stati sempre lontanissimi da una concezione formale progressive, ad esempio, le migliorie tecniche che Urlo, Vita e Poia hanno apportato al loro monolitico interplay diventano vieppiù evidenti con il passare degli anni: ora, pur essendo ancora largamente predominante, limpatto di pancia non preclude alcune importanti variazioni ritmiche (le zoppie di Babel, la scansione rientrante del riff di Fatum, lApocalisse in 7/8 di una Prismaze altezza Oroborus, il nervoso tip tap dellattacco di Psyrcle sono le più eclatanti) e si concede frequenti ribaltamenti di prospettiva ed atmosfera (le selvagge scariche hardnheavy della seconda metà di Warsheep, ancora Psyrcle, su cui varrà spendere qualche parola in più nel prosieguo).
Questo elaborato sistematizzarsi del suono, in verità, non mitiga né tantomeno spegne gli ardori che covano in ogni brano: se possibile, anzi, li accentua e li esalta. Il risultato paradossale è che 8, oltre ad essere il disco più articolato degli Ufomammut, è, per certi versi, anche il loro più crudo e violento. Prima di coagularsi in un devastante mantra space metal sabbathiano, fiotti di puro acido free form prorompono da Babel. Zodiac si offusca in una decelerazione interstellare che si trascina con sé una selva di effettistica. La transizione dallo sludge di Fatum alle rifrazioni heavy psych di Prismaze si consuma in un bagno di sangue. Core viene squassata da ripartenze al cardiopalma. Wombdemonium, infine, viene inchiodata al muro da una sezione chitarristica di cemento, una sventagliata di riff tra le più mortifere di tutto il repertorio della band. La mattanza continua indisturbata, fino allapogeo di Psyrcle: un halay doom, attorcigliato attorno alle volute orientaleggianti di synth di Urlo e Poia, che si disintegra in una folle accelerazione noise (amplificatori settati a volumi supersonici, lancette color rosso fuoco).
Da ormai ventanni funziona così: ogni nuovo disco degli Ufomammut riesce nellimpresa, con minimi e mirati aggiustamenti, di suonare come nessunaltra cosa della loro produzione. 8, nemmeno a dirlo, è una dimostrazione di potenza ed efficacia con pochi pari in Italia.
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