AC/DC
Back In Black
Dissociazione e sdoppiamento sensoriale sono le reazioni che conosco allascolto degli Eisidìsi (accento sulla terza i), con lemisfero sinistro del cervello a trasmettere linformazione precisa e netta di essere al cospetto del gruppo rock per eccellenza, quello perfetto perché assoluto naturale, senza secondi fini, messaggi, sfumature, infiltrazioni di altri generi, rallentamenti di battute al minuto e divagazioni sul tema. Il rock per il rock insomma, e chi lo ama a prescindere allora ama gli AC/DC, perché sono quelli che hanno colto la sua essenza più adamantina.
Laltro emisfero invece si stufa rapidamente di questa stessa purezza e circoscrizione dintenti, tendendo a sormontarla con sensazioni di ripetitività e monotonia e limitatezza a partire dal quarto, quinto pezzo ascoltati, desiderando qualcosa di un minimo più concettuale e pretenzioso e spurio e sovra o sotto strutturato.
Detto da un altro punto di vista, il mirabile incastro ritmico fra le chitarre in staccato dei fratelli Young, sul pedale tonico del basso e sulla cadenza metronomica della batteria, si trasforma lestamente da vero godimento fisico a routine sempre meno interessante, come una fetta di torta troppo grossa.
Se la si direziona sul celeberrimo album in oggetto, la schizofrenia di cui sopra deve anche tenere in conto che tale collezione di canzoni, passati trentadue anni dalla sua pubblicazione, è arrivata a circa cinquantatré milioni di copie vendute, ovvero secondo posto assoluto nella storia della musica di ogni tempo e di ogni genere, dietro solamente allirraggiungibile Thriller di Michael Jackson, ahi lui carburante inestinguibile per le sue follie e la sua autodistruzione.
Anche gli AC/DC hanno dovuto pagare pegno al dio del successo, ma nel loro caso la sorte ha inteso prima colpirli, poi premiarli oltre ogni dire. Muore Bon Scott, il carismatico e sregolato frontman, il gruppo non si arrende e trova rapidamente una nuova, beffarda voce, emessa da un tizio molto meno cool ma in ogni caso con grinta e fiato da vendere. La consolazione e il premio si sono immediatamente concretizzati nel clamoroso riscontro commerciale di questopera di riscatto e di ripartenza, un album colorato di nero alla memoria di Bon e smerciato in giro per il mondo in quantità ben superiori ad ogni possibile previsione critica, culturale, sociale.
Perché? La strada verso il successo era stata adeguatamente preparata dal precedente, notevole Highway To Hell e non è che questo lavoro gli sia superiore, anzi. Ma Highway è attestato sui quindici milioni di copie vendute, meno di un quarto rispetto al suo nero successore. Non credo poi che la sensazione per la scomparsa di un cantante possa decuplicare le vendite del disco successivo. Non ritengo, infine, che il valore delle canzoni contenute in Back In Black sia smaccatamente superiore a quello del resto della discografia. E allora? Non lo so!
Gli episodi superstar che si incontrano in scaletta sono comunque tre: comincia Hells Bells, posta allinizio e intuitivamente dedicata allamico e collega perduto. E quella che comincia con una (vera, sia su disco che nei concerti) campana a morto, sul cui lugubre rintocco si innesta larpeggio di Angus Young, il rinforzo del fratello Malcom, e poi il mid-tempo cadenzato della sezione ritmica. Il novizio Brian Johnson si presenta col suo particolarissimo, anzi unico modo di usare la voce: piega in basso il collo e fa uscire un ringhio gira fra la gola e la testa prima di esplodere nel microfono. Un mistero gaudioso di come riesca a non fottersi le corde vocali nel giro di un concerto invece niente, dopo tutti questi anni mantiene la stessa voce e la stessa potenza.
La canzone che intitola il lavoro prende alla gola allistante con un riff arci granitico, costituito da una successione MI-RE-LA in staccato, eseguita allunisono fra la Gibson di Angus, la Gretsch di Malcom e il basso Fender di Cliff Williams. Angus poi suona, da solo, una rabbiosa scala blues discendente di collegamento fino alla ripresa del MI, o in alternativa insieme agli altri una salita cromatica alternata a un bordone di SI. Quando arriva il ritornello tutto il quintetto attaccano in levare, le chitarre sono ancora più sonore e penetranti, perfette nel loro timbro appena distorto, croccante e ricco di armoniche. La matricola Johnson ce la mette tutta e gracchia come una poiana, a tutta gola, tenendo testa a cotanta onda durto, urlando ai quattro venti che gli AC/DC sono tornati, che il mondo deve fare di nuovo i conti con loro, che il dolore e . Il risultato finale, al di là delle descrizioni tecniche, sono quattro minuti e rotti di sublime arte popolare, settore hard rock.
La triade delle celebrità, lo dimostra la costante esecuzione in concerto dal 1980 al presente, è chiusa da You Shook Me All Night Long, ennesimo racconto di una sensazionale scopata, come decine di altri brani del gruppo. Qui è il ritornello agganciante e singalong a svolgere funzione di grande attrattiva popolare. La sua esplosione liberatoria, con tanto di testo trionfalmente sessista, ha per certo confortato legioni di brufolosi teenager in attesa della loro prima, vero e soddisfacente conquista sessuale. Daccordo, la musica serve a molte altre cose e pensieri e fasi dellesistenza, ma il quintetto anglo/australiano fieramente si è scelto, sin dagli esordi, una specifica commedia da rappresentare e con quella tira avanti ancor oggi, senza tentennamenti.
La loro trivialità e il loro monotematismo costituiscono congrui argomenti per i denigratori, per i quali la (inconfutabile) presenza di tale band nellempireo commerciale e culturale della musica rock insieme a Stones, Zeppelin, Pink Floyd, Queen, Springsteen, U2, Sabbath, Nirvana e chi altri volete voi, suona come una stonatura, uneresia, uningerenza.
Personalmente riconosco appieno la loro eccellenza trovando semmai, nel breve elenco appena compilato, ben altri intrusi ma approfondire suonerebbe polemico, quindi un semplice evviva agli AC/DC ed allonesta e perfetta concezione del rock da loro sapientemente distillata in tutti questi anni e che ha avuto in questalbum, molto più che in altri, catarsi suprema e clamorosa.
Se non fosse che al quinto pezzo comincio a stufarmi
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