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R Recensione

8/10

AC/DC

Back In Black

Dissociazione e sdoppiamento sensoriale sono le reazioni che conosco all’ascolto degli Eisidìsi (accento sulla terza i), con l’emisfero sinistro del cervello a trasmettere l’informazione precisa e netta di essere al cospetto del gruppo rock per eccellenza, quello perfetto perché assoluto naturale, senza secondi fini, messaggi, sfumature, infiltrazioni di altri generi, rallentamenti di battute al minuto e divagazioni sul tema. Il rock per il rock insomma, e chi lo ama a prescindere allora ama gli AC/DC, perché sono quelli che hanno colto la sua essenza più adamantina.

L’altro emisfero invece si stufa rapidamente di questa stessa purezza e circoscrizione d’intenti, tendendo a sormontarla con sensazioni di ripetitività e monotonia e limitatezza a partire dal quarto, quinto pezzo ascoltati, desiderando qualcosa di un minimo più concettuale e pretenzioso e spurio e sovra o sotto strutturato.

Detto da un altro punto di vista, il mirabile incastro ritmico fra le chitarre in staccato dei fratelli Young, sul pedale tonico del basso e sulla cadenza metronomica della batteria, si trasforma lestamente da vero godimento fisico a routine sempre meno interessante, come una fetta di torta troppo grossa.

Se la si direziona sul celeberrimo album in oggetto, la schizofrenia di cui sopra deve anche tenere in conto che tale collezione di canzoni, passati trentadue anni dalla sua pubblicazione, è arrivata a circa cinquantatré milioni di copie vendute, ovvero secondo posto assoluto nella storia della musica di ogni tempo e di ogni genere, dietro solamente all’irraggiungibile “Thriller” di Michael Jackson, ahi lui carburante inestinguibile per le sue follie e la sua autodistruzione.

Anche gli AC/DC hanno dovuto pagare pegno al dio del successo, ma nel loro caso la sorte ha inteso prima colpirli, poi premiarli oltre ogni dire. Muore Bon Scott, il carismatico e sregolato frontman, il gruppo non si arrende e trova rapidamente una nuova, beffarda voce, emessa da un tizio molto meno cool ma in ogni caso con grinta e fiato da vendere. La consolazione e il premio si sono immediatamente concretizzati nel clamoroso riscontro commerciale di quest’opera di riscatto e di ripartenza, un album colorato di nero alla memoria di Bon e smerciato in giro per il mondo in quantità ben superiori ad ogni possibile previsione critica, culturale, sociale.   

Perché? La strada verso il successo era stata adeguatamente preparata dal precedente, notevole “Highway To Hell”… e non è che questo lavoro gli sia superiore, anzi. Ma “Highway…” è attestato sui quindici milioni di copie vendute, meno di un quarto rispetto al suo nero successore. Non credo poi che la sensazione per la scomparsa di un cantante possa decuplicare le vendite del disco successivo. Non ritengo, infine, che il valore delle canzoni contenute in “Back In Black” sia smaccatamente superiore a quello del resto della discografia. E allora? Non lo so!

Gli episodi superstar che si incontrano in scaletta sono comunque tre: comincia “Hells Bells”, posta all’inizio e intuitivamente dedicata all’amico e collega perduto. E’ quella che comincia con una (vera, sia su disco che nei concerti) campana a morto, sul cui lugubre rintocco si innesta l’arpeggio di Angus Young, il rinforzo del fratello Malcom, e poi il mid-tempo cadenzato della sezione ritmica. Il novizio Brian Johnson si presenta col suo particolarissimo, anzi unico modo di usare la voce: piega in basso il collo e fa uscire un ringhio gira fra la gola e la testa prima di esplodere nel microfono. Un mistero gaudioso di come riesca a non fottersi le corde vocali nel giro di un concerto… invece niente, dopo tutti questi anni mantiene la stessa voce e la stessa potenza.

La canzone che intitola il lavoro prende alla gola all’istante con un riff arci granitico, costituito da una successione MI-RE-LA in staccato, eseguita all’unisono fra la Gibson di Angus, la Gretsch di Malcom e il basso Fender di Cliff Williams. Angus poi suona, da solo, una rabbiosa scala blues discendente di collegamento fino alla ripresa del MI, o in alternativa insieme agli altri una salita cromatica alternata a un bordone di SI. Quando arriva il ritornello tutto il quintetto attaccano in levare, le chitarre sono ancora più sonore e penetranti, perfette nel loro timbro appena distorto, croccante e ricco di armoniche. La matricola Johnson ce la mette tutta e gracchia come una poiana, a tutta gola, tenendo testa a cotanta onda d’urto, urlando ai quattro venti che gli AC/DC sono tornati, che il mondo deve fare di nuovo i conti con loro, che il dolore e . Il risultato finale, al di là delle descrizioni tecniche, sono quattro minuti e rotti di sublime arte popolare, settore hard rock.

La triade delle celebrità, lo dimostra la costante esecuzione in concerto dal 1980 al presente, è chiusa da “You Shook Me All Night Long”, ennesimo racconto di una sensazionale scopata, come decine di altri brani del gruppo. Qui è il ritornello agganciante e singalong a svolgere funzione di grande attrattiva popolare. La sua esplosione liberatoria, con tanto di testo trionfalmente sessista, ha per certo confortato legioni di brufolosi teenager in attesa della loro prima, vero e soddisfacente conquista sessuale. D’accordo, la musica serve a molte altre cose e pensieri e fasi dell’esistenza, ma il quintetto anglo/australiano fieramente si è scelto, sin dagli esordi, una specifica commedia da rappresentare e con quella tira avanti ancor oggi, senza tentennamenti.

La loro trivialità e il loro monotematismo costituiscono congrui argomenti per i denigratori, per i quali la (inconfutabile) presenza di tale band nell’empireo commerciale e culturale della musica rock insieme a Stones, Zeppelin, Pink Floyd, Queen, Springsteen, U2, Sabbath, Nirvana e chi altri volete voi, suona come una stonatura, un’eresia, un’ingerenza.

Personalmente riconosco appieno la loro eccellenza trovando semmai, nel breve elenco appena compilato, ben altri intrusi… ma approfondire suonerebbe polemico, quindi un semplice evviva agli AC/DC ed all’onesta e perfetta concezione del rock da loro sapientemente distillata in tutti questi anni e che ha avuto in quest’album, molto più che in altri, catarsi suprema e clamorosa.

Se non fosse che al quinto pezzo comincio a stufarmi…

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Voto degli utenti: 7,7/10 in media su 17 voti.

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PetoMan 2.0 evolution (ha votato 9 questo disco) alle 14:08 del 8 gennaio 2014 ha scritto:

Discone. In effetti loro non sono proprio un gruppo eclettico, diciamo così. Però preso per quello che è, cioè un disco di puro, semplice e granitico hard rock, è un album che non teme confronti. Concordo sui tre pezzi segnalati come i momenti migliori, anche se personalmente ho un debole per "Let Me Put My Love Into You".

L'intro di Hells Bells mi ha fatto sempre venire un po' in mente i Black Sabbath, boh, sarà per quella chitarra un po' più lenta del solito, o le campane forse, 10 anni dopo quelle che aprivano l'esordio dei sabs...

Franz Bungaro (ha votato 8,5 questo disco) alle 20:04 del 9 gennaio 2014 ha scritto:

Back in black è la mia coperta di Linus. Da anni. Da sempre. Ma non ce la faccio a parlare di loro, con razionalità. Apprezzo però questo coraggioso sdoganamento qui. Li ami o li odi. Io non potrò mai odiarli, ergo...

Marco_Biasio (ha votato 6 questo disco) alle 15:14 del 10 gennaio 2014 ha scritto:

Due palle. A me hanno sempre stancato subito. Se i Motorhead suonano da anni sempre la solita canzone, gli AC/DC suonano da anni sempre le solite note. Immagino possano piacere ma proprio non è la mia cup of tea.

FrancescoB (ha votato 7 questo disco) alle 9:37 del 11 gennaio 2014 ha scritto:

Sono d'accordo con Marco: di norma proprio non li reggo. Questo però è l'unico disco che in qualche modo mi piace, pur senza esagerare.

Suicida (ha votato 10 questo disco) alle 18:33 del 12 gennaio 2014 ha scritto:

Quando canonizzi l' hard rock a quei livelli non hai bisogno di evolverti o cambiare. E' quel genere di critica rivolta spesso anche a gruppi come gli Iron maiden, che personalmente non condivido. Gli AC/DC sono la nemesi della prosopopea prog e hanno traghettato il rock alle masse come fonte di evasione, un rock solo apparentemente ignorante. Sostanzialmente se voglio ascoltare qualcosa di diverso metto su un altro disco, ma se voglio ascoltare hard rock metto su loro e voglio che suonino così, onesti e viscerali. P. S. : Le recensioni di Pierpaolo sembrano dei tutorial chitarristici su youtube, troppo meticolose.

Franz Bungaro (ha votato 8,5 questo disco) alle 14:26 del 13 gennaio 2014 ha scritto:

...quoto. Il "problema" di questo disco, come di tanti altri gruppi e dischi che hanno venduto in maniera imbarazzante (credo questo sia il disco rock più venduto di sempre) è che non si accetta che tanti, troppi (belli, brutti, colti, ignoranti, vestiti bene, vestiti male), con a capo quei grezzotti banalotti di Radio Virgin, possano, tutti insieme, provare impulsi positivi di fronte alle stesse note e subdolamente ci convinciamo che certa musica, proprio perchè piace a tutti (o a tanti) a noi non deve piacere, perchè "sai, io ascolto tanta musica in vita mia, ho gusti particolari" "a me piace molto il post-dub step indonesiano" ecc ecc...ma sti gran cazzi (scusate il francesismo) mettete Back in black a manetta fino a coprire completamente i rumori della scopa della vicina origliona che batte contro il muro che confina con la vostra casa...è un godimento che non passerà mai di moda...

PierPaolo, autore, alle 21:16 del 13 gennaio 2014 ha scritto:

Tutorial? Punti di vista. Il tuo è probabilmente quello di chi non sa suonare. Al contrario, per uno che ha studiato musica al conservatorio, quelle mie stesse frasi potrebbero facilmente risultare pressappochiste e velleitarie. Se c'è un gruppo che ha insegnato ai chitarristi elettrici, e intendo sia quelli in erba che Eric Clapton e Steve Vai, questi sono gli AC/DC. La musica rock è di tanti tipi, e le recensioni possono essere impostate in tantissimi modi diversi. Se parli di un disco di John Lennon, puoi lasciar perdere le chitarre e gli accordi. Oppure Bob Dylan , o Tom Waits. Con gli AC/DC rutengo sia centrato parlare (anche) di chitarre, sincopi, bicordi, quarte e settime, perchè il cuore del loro contributo al rock è lì.

Suicida (ha votato 10 questo disco) alle 21:26 del 13 gennaio 2014 ha scritto:

So suonare, ma questo non ha alcuna rilevanza sulla mia opinione rispetto a come scrivi una recensione. Soltanto trovo pedanti tutti quei dettagli, giustamente velleitari come dici tu, o i marchi strumentali usati.. Cit. 'Angus poi suona, da solo, una rabbiosa scala blues discendente di collegamento fino alla ripresa del MI, o in alternativa insieme agli altri una salita cromatica alternata a un bordone di SI. ' Dunque?

Dr.Paul alle 14:03 del 14 gennaio 2014 ha scritto:

Ian MacDonald era solito scrivere così. Lui è stato un grande!

PierPaolo, autore, alle 19:27 del 14 gennaio 2014 ha scritto:

Già già. Quel suo libro sui Beatles l'avrò letto dieci volte. E' l'archetipo della descrizione tecnica ma non troppo (per chi ci capisce di musica). E con una introduzione sociologica e culturale da manuale, pur se impostata dal punto di vista di un inglese, quindi leggermente fuori fuoco per un italiano che la legge. Sia gloria a lui nell'alto del suo cielo.

Utente non più registrato alle 11:10 del 13 gennaio 2014 ha scritto:

Beh certo..se si vuole paragonare Gassman o De Sica ad Alvaro Vitali...

Utente non più registrato alle 20:46 del 13 gennaio 2014 ha scritto:

Se mi piace un disco non m'interessa sapere a quanti piace...Tanti? Pochi?

Per me fa lo stesso

zagor (ha votato 7,5 questo disco) alle 0:00 del 14 gennaio 2014 ha scritto:

degli australiani è il disco che ha fatto il botto perchè raccoglieva tutto quanto seminato negli anni precedenti, con 3-4 pezzi clamorosi e mettiamoci pure lo slancio emotivo della morte di Bon Scott...."let there be rock" l'autostrada per l'inferno erano più compatti, pur non vantando lo stesso valore simbolico di BIB.

simone coacci (ha votato 7 questo disco) alle 17:28 del 14 gennaio 2014 ha scritto:

Neppure a me sono mai piaciuti granché. Una carriera tanto longeva, la loro, quanto sostanzialmente povera e ripetitiva. Il loro contributo all'hard-rock, al metal e perfino al rap-rock (nel 1984 i Beastie Boys campionarono proprio "Back In Black" per un loro pezzo intitolato "Rock Hard", il quale conobbe un successo tanto fragoroso quanto fugace, visto che i Beastie non avevano intenzione di cacciare un centesimo per i diritti d'autore e il singolo fu presto ritirato dal mercato dietro minaccia di una causa legale da parte del gruppo di Angus Young) si limita in pratica ai primi 4-5 album. Tuttavia bisogna ammettere che questo "Back in Black", nella sua prosaica semplicità (o "trivialità" come dice giustamente Pierpaolo), è un piccolo miracolo di groove, riff e ritornelli da cantare a squarciagola (magari dopo parecchi bicchieri e altrettante sigarette per far assomigliare di più la voce a quella di Brian Johnson)) come quello di "You Shook Me All Night Long". Giudizio positivo, insomma, anche se a piccole dosi.

ProgHardHeavy (ha votato 8,5 questo disco) alle 1:31 del 8 settembre 2014 ha scritto:

Grande album rovinato da una voce inascoltabile. Comunque, anche con Bon Scott, gli avrei dato comunque 8,5.

B-B-B (ha votato 8,5 questo disco) alle 21:01 del 9 aprile 2015 ha scritto:

L'ultimo loro grande disco, poi, per me, sono totalmente morti

Utente non più registrat (ha votato 7,5 questo disco) alle 16:13 del 5 maggio 2019 ha scritto:

Potente e viscerale come il grande rock dovrebbe essere. Un'autentica pietra miliare del metal, pur con i soliti limiti degli album degli AC/DC, qualche capolavoro assieme a qualche riempitivo di troppo; ma qualche ingenuità nella tracklist si può perdonare poiché Hells Bells, Back in Black, Let Me Put My Love Into You e You shook Me All Night Long sono indimenticabili. Da ammirare inoltre l'eccezionale prova vocale di Brian Johnson.