V Video

R Recensione

5/10

Black Elephant

Bifolchi Inside

La tamarraggine in musica, per quanto mi riguarda, non è mai stato un grosso problema, se contenuta entro percentuali ragionevoli: diversamente non scapoccerei ogniqualvolta sento una canzone dei Motörhead, e non sognerei ad occhi aperti di partecipare – ogni anno inutilmente, c’è da dire – al Roadburn, l’unico palco su cui si toccano con i gomiti i maestri del prog e i peggiori rednecks. A perplimermi non è, dunque, il pur inutilmente ostentato titolo che i savonesi Black Elephant hanno dato al loro secondo full length, né i testi rudi e raffazzonati, e nemmeno il fatto che all’interno del booklet i quattro ringrazino, fra le altre cose, l’acqua in saletta, gli ampli fino al soffitto, il disagio, il crederci e… la tamarraggine. Sull’onestà e sulla passione dei ragazzi non ho certo alcunché da eccepire. Quando, però, il desiderio di suonare i più crudi, diretti ed ignoranti possibile sconfina nell’autoparodia, nella caricatura, è doveroso intervenire e muovere gli appunti del caso.

Che “Bifolchi Inside”, alla fin fine, non è nemmeno disprezzabile, diciamolo. “Dr. Fuck” sembra inizialmente condividere lo stesso mood di Lemmy e combriccola trincante, salvo poi alzare il tiro e sfoderare un’inattaccabile solidità hardcore new school. Il fraseggio di “Cowboys” (il classico nome parlante) va a scomodare l’ultimo periodo di Dimebag Darrell, in un southern metal striato di heavy classico. “Come Serpenti” è un blues asciutto ed inacidito, suonato con stacchi quasi swing ed una coda in doppia cassa. Non si fa troppa fatica, insomma, a trovare qualcosa di buono da salvare: il marchio GreenFog, anche nel 2014, ha un suo intrinseco peso. Poi arriva la controparte povera e banale, ma per davvero e non per gimmick: ingenuità grossolane, che aprono voragini nel songwriting del quartetto. “Voglio Fare Il Velino” aspira ai Rage Against The Machine, riesumando invece alcuni tra i peggiori lasciti del nu metal (“Die Motherfucker Die” dei Dope a prua?): “Crew Of Death” segna il sindacabile trionfo dei valvolari compressi e della cowbell, roba che neanche i nonni dei biker vorrebbero più risentire; “Pornoland” dà fondo al carico di turpiloquio, abbinandolo con un cripto-metalcore di infimo livello. In mezzo ci finiscono pure gli Afterhours: la cover della loro “Male Di Miele”, esperimento sulla carta interessante, si limita però ad alzare la voce e ad aumentare la volumetria originale, senza variazioni aggiuntive.

Non credo che i Black Elephant abbiano suonato “Bifolchi Inside” per compiacere la propria originalità. Anche per fare della semplice cagnara, però, esistono vie decisamente migliori di questo dischetto, poco rilevante tanto nella durata quanto – ahinoi – nei contenuti. 

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.