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R Recensione

5/10

Palkosceniko al Neon

Lucas

E non è folle utopia, né una dura lezione / serve alta tensione, per la rivoluzione”.

Per fare questa recensione ho aspettato fino all’ultimo. Ho aspettato perché sapevo, perché speravo. Ho dato un’occhiata a Milano, Napoli, Cagliari, Trieste, Novara. Ho visto un popolo finalmente abbattuto, una massa di cagnolini storditi per la ferita del padrone, ed un’altra massa che festeggiava l’ennesima sconfitta, illusi di essere arrivati al traguardo, di potercela ora fare, non sapendo di essere sprofondati all’inferno con gli eterni amici/nemici. Dai catorci del bipolarismo imperfetto made in 2011 esce fuori la vox populi, pardon, la box populi. L’indignatio troppo a lungo accantonata, vagamente cullata nell’attesa di un innocuo verrà il giorno che…, riesplode nelle piazze, su internet, dietro i megafoni, a Montecitorio. Populismo e popolarismo si piegano al sentimento, alla nobiltà ed alla forza delle idee vere, alla concretezza di una gioventù esasperata. La società italiana volta pagina e si avvia verso un nuovo, tumultuoso, straripante anno zero.

Solo il tempo sarà in grado di etichettare la riflessione iniziale come ulteriore chimera, da aggiungere al novero della lista sconfinata marchiata a fuoco dalla cosiddetta Seconda Repubblica, oppure conferirle grado e consistenza di veridicità. I toni sono politici perché politico è “Lucas”, e politici sono i Palkosceniko Al Neon. Di una politica diretta, essenziale, spietata, che non si vede, né sente più, confinata negli angusti spazi di un centro sociale qualunque (e magari liofilizzata per farne slogan a bassa gradazione) o tra le menti sparute di chi ci crede ancora, nella possibilità di un cambiamento. Ecco perché i romani, a seconda dell’inquadramento della prospettiva, possono essere parafrasati come fuori tempo massimo, estremamente ingenui o inverosimilmente nostalgici. Tre opzioni, invero, viste modernamente una peggio dell’altra. È quindi essenziale porre un punto a capo: qui con la par condicio ci si pulisce il culo e l’urlo di rabbia fa tremare veramente le finestre.

Arrivati al quinto disco in brevissimo tempo, a breve distanza dall’ultimo “Disordine Nuovo” del 2010, i Palkosceniko Al Neon non smarriscono la loro identità e, pane al pane vino al vino, tirano dritti per la loro strada. Pochi fronzoli, nessun panegirico introduttivo: l’elettricità satura del tardo crossover del gruppo si sacrifica, ancora una volta, all’impatto e all’immediatezza. A tratti più hardcore (come nella tiratissima “Brucia Di Vita”, ottima cover dei mai dimenticati Negazione, o in “Assetto Da Resa”, attacco frontale vicino a primi Fluxus e Nerorgasmo), altrove più schiettamente metalcore (nel pulsare iniziale della bella apertura, con “Cuore Di Cane”, sino a finire dalle parti della superflua “Disamore #2” e della cannonata di “Intolleranza”), il dazio, a tratti pesante, da pagare rimane sempre lo stesso: quello con i Linea 77 degli esordi. Le affinità musicali tra i due gruppi sono a tratti davvero troppo insistite – non basta un micidiale riff old school per far decollare “Autocontrollo”, come nemmeno è sufficiente la maggiore strutturazione della title-track ed i suoi richiami ai Suicidal Tendencies – e la sensazione di dejà vu è solo parzialmente attenuata dalle liriche, tizzoni ardenti in volo da una parte all’altra di un palco immaginario che fanno incendiare le assi con il loro estremo dinamismo schierato.

Passione incrollabile ed ostinata per la loro missione, un paio di brani come “Alta Tensione #2” e “Intervallo” che si piantano nel cervello, una piccola fitta di delusione per il mancato balzo in avanti. Ciò che distingue le produzioni musicali dai recital poetici è la presenza di un impianto strumentale: e sarà su di esso che il lavoro, pur irreprensibile, dei Palkosceniko Al Neon dovrà focalizzarsi.

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