Call Me Lightning
Soft Skeletons
E una bella lezione di storia questo Soft Skeletons, secondo disco dei Call me Lightning: perché mentre il mercato discografico inglese si satura di cloni dei Franz Ferdinand e di improbabili seguaci del punk funk, e si trova imprigionata dalla sua stessa fame di riciclaggio in un funesto cul de sac, sembra che le rare ventate di aria fresca in materia possano provenire solo dallaltra sponda delloceano.
Da Milwaukee, in questo caso, ma soprattutto da quella stessa scena di postcore evoluto e meticcio da cui tutto si è generato: lo stesso humus da cui provengono gruppi come Q and Not U, Beep Beep, ma anche i celeberrimi !!! e i Rapture. Hardcore malato di schegge funk che animava anche i dischi degli Speedking, in cui, guarda caso, suonava James Murphy, alias, mr. DFA e , soprattutto, quelli dei Les Savy Fav, gente che è in giro dalla seconda metà dei 90 con il suo postcore malato di Pixies, Brainiac e new wave e di cui, a livello sonoro, i Call Me Lightning possono essere considerati dei fratelli minori.
Furia hardcore incanalata e frammentata in tutti i rivoli che quel post comporta, lansia sperimentatrice dei Fugazi e dei Nation Of Ulysses ammorbidite, rimodernate secondo la lezione emo e sposate alla lezione di Wire e Gang Of Four: questo grosso modo il canovaccio dei nostri, in grado di creare su queste vaghe premesse un disco che è in grado di ridestare tante vittime dellincubo dellinvasione degli ultracorpi di queste giorni.
Si ascolti lattacco allarma bianca di Meet The Skeletons, il riff tagliente e linvadente basso a spasso lungo lanthemica Billion Eyes, loi! in salsa Talking Heads di Bottles and Bottles, labrasiva cavalcata di Shook House Shakedown, o lhard rock spurio di Return As a Child . E riservate comunque uno spazio speciale ad una spettacolare Little Bear, baciata da timide e struggenti venature emo.
La qualifica di imperdibile sfuma per qualche passo falso ( o comunque meno deciso) qua e là , ma poco importa: questa è musica animata da una visceralità e da una vivacità, che da troppo tempo latitano nel fortunato binomio punk-funk.
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