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7,5/10

Shabaka And The Ancestors

Wisdom of Elders

Sulla gloriosa parabola del jazz sudafricano si potrebbe scrivere un'enciclopedia. Anche solo per smentire le teorie che vogliono catalogare il genere come puramente americano, almeno sino agli anni '60: a Città del Capo e Johannesburg, infatti, si parlava di ministrel show addirittura nella seconda metà dell'80, e già negli anni '30 e '40 era giunta a maturazione una scuola locale dotata di una certa personalità. 

L'influenza dell' America era inevitabile (New Orleans e la prima New York su tutti, quindi la scuola bop nei difficili anni '50), ma il paese dell'apartheid ha saputo coniugare un linguaggio trasversale, capace di mescolare certe peculiarità del jazz importato da oltreoceano con la tradizione locale (che peraltro esibiva legami ancestrali con la musica del nuovo mondo, specie dal punto di vista delle strutture ritmiche). 

Non vogliamo dilungarci oltre: crediamo solo che il trentaduenne londinese Shabaka Hutchings conosca piuttosto bene le vicende che ora abbiamo riassunto in poche righe, e che ancora meglio la conoscano il trombettista sudafricano Manda Mlangeni e i suoi Ancestors

Il leader parla di afro-futurismo, quando si avventura nel mondo della descrizione, e forse azzecca la formula. “The Wisdom of Elders”, registrato in una sola giornata (a dispetto della durata piuttosto impegnativa: si sfiorano i 75 minuti), illustra per l'ennesima volta come il jazz stia cercando e trovando con una certa naturalezza nuove forme di espressione, in questi anni '10. Non è sbagliato pensare che molte fra le novità più significative stiano sbocciando in un contesto oramai estremamente fluido, e sempre più orientato verso un'estetica globale. 

I tre strumenti a fiato (sassofono tenore per il leader, sassofono contralto per Mthunzu Mvubu e tromba per Mandla Mlangeni) sono le voci dominanti, come di consueto: e suonano quasi sempre leggibili, melodiche, improntate a uno strutturalismo ora di matrice cool-boppistica (le dolci arcate melodiche), ora addirittura preboppistico (specie la tromba, quasi un Miles Davis meno tragico e “aromatizzato” New Orleans). 

I brani sono articolati e spesso eludono le consuete dinamiche (aaba etc...), sviluppando i temi in modo libero, tanto nei solo quanto nei numerosi passaggi all'unisono. In più luoghi, si avverte l'eco della kwela, musica da strada per flautini e strumenti a fiato, squillante dal vivido impatto melodico, che qui viene rielaborata in un discorso di grande complessità. 

L'ordine non viene quasi mai meno, in ogni caso: in più momenti, viene in mente all'orchestra di Sun Ra (magari in versione meno anfetaminica, più riflessiva) e al suo miracoloso equilibrio (tanto vitreo quanto carnale), anche per la voce particolarmente "gonfia" degli strumenti a fiato, oltre che per l'uso ragionato del piano rhodes. Il sottofondo ritmico incessante è però pura Africa nera: gli Ancestors hanno studiato a fondo la storia dei poliritmi ngumi, e costruiscono un tappeto fittissimo di incastri, che non sovrasta mai i solisti, ma rende la musica estremamente flessibile, dinamica. E se Shabaka non è solo un sassofonista jazz, gli Ancestors non sono solo la sua band: il vocalist Siyabonga Mthembu (attivo anche con i The Brother Moves On) è artista globale, narratore e cantastorie, il pianista Nduduzo Makhathini è jazzista di lungo corso da sempre innamorato delle contaminazioni con la musica Zulu, e tutti i componenti rappresentato gli agitatori principali di una scena che parte dalla tradizione jazz e - via Hugh Masekela o Sonny Okosum - arriva dritto ai giorni nostri, ovvero al rock dei mai dimenticati BLK JKS e agli esperimenti degli Uhuru. Lo stesso Shabaka Hutchins lo ricordiamo nell'ormai mitico ritorno di Mulatu Astatke del 2009, nel jazz futuristico degli Heliocentrics e nell'eclettismo rock dei Melt Yourself Down. Questo per dire che "La saggezza degli anziani" è un disco giovane, di quelli che possono piacere anche a chi scappa sui rami più alti degli alberi al solo sentire la parola "free-jazz": la voce e il sax che cantano "all'unisono" prima che "Mzandwile" diventi una bolgia di suoni e richiami ancestrali, la linearità melodica di "Joyous" e i rimandi sacri di "The Observer" introducono anche l'ascoltatore meno "predisposto" in una terra di confine tra il jazz afro(americano), le strutture tipiche della musica sudafricana e i sentori caraibici di una musica che ci induce a ringraziare ("Give Thanks"), a ballare e a riflettere. E' la saggezza dei giovani.

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Paolo Nuzzi alle 16:02 del 10 ottobre 2016 ha scritto:

Mi metto subito a caccia! Ottimi Francesco e Fabio! Complimenti!