IOSONOUNCANE
Die
È come se, nel preciso momento in cui stai per morire, la vita ti facesse lultimo regalo: lasciarsi toccare. Rendersi corporea, tangibile, tanto da poterla stringere, mordere, persino stordire. Invece tu ti limiti a guardarla, per la prima e ultima volta, e a respirarla, finché puoi, finché ti è concesso. Molto psichedelico, a vederlo da dentro, eccome. Die è questo: un viaggio lisergico allinterno di un istante lunghissimo e rivelatore.
Cinque anni di silenzio pressoché assoluto separano lesordio di IOSONOUNCANE da questa seconda prova. Cinque anni che paiono cinquecento, alla luce della diversità midollare dei due dischi: La Macarena Su Roma (recuperatelo: debutto allucinante), alienato affresco contemporaneo di una società in rovina, ci aveva fatto conoscere il talento folle di Jacopo Incani, il suo irridente canto strascicato, le invettive al contrario, la sua elettronica giocattolosa e le chitarre puntute; Die ce lo restituisce su un piedistallo altissimo, creatore e creato a sua volta di un monumento rigoglioso e tentacolare, mistico ma oltremodo terreno. Una sorta di concept (orrida definizione) sulla vita che va via e su quella che resta, atavica come radice millenaria, ma puntata verso il cielo. Cè una bellezza violenta in questi solchi, una specie di grazia deforme che atterrisce e gratifica, attraverso ununica lunga suite in sei episodi per trentotto sbalorditivi minuti, cesellati minuziosamente, curati allo spasimo in ogni singolo frammento, destrutturati e ricomposti secondo una logica schizoide ma oscenamente lucida.
Tecnicismi a parte, esplicitati in una precisione chirurgica nel disegno delle rigogliosissime trame (consiglio: spegnete il computer e alzate il volume di un riproduttore fedele di suoni) e in un colossale lavoro di simbiosi nelle aderenze con gli strumenti tradizionali flicorno baritono, chitarra sarda preparata, per citare i più inusuali e con la voce mostruosa di Incani, Die rimane fascinoso e magnetico dallinizio alla fine, mantenendo registri prodigiosamente alti con punte di assoluta, abbacinante magia. Le liriche prendono la forma di una lunga elegia i cui versi, col pretesto di una narrazione semplice, la storia di un uomo in mare e della sua donna che ne teme la morte, raccontano invece della difficile simbiosi individuo terra universo, dellarmonia tiranna e violenta scaturita dal rincorrersi di albe e tramonti che invecchiano la carne, del sole (citato ventinove volte) che scava rughe e asciuga la terra, del mare e del suo sale che corrode il legno e lanima: in definitiva, del disperato, struggente e bellissimo alternarsi di vivere e morire (Die in sardo e latino vuol dire giorno, in inglese è morire).
I movimenti: Tanca è epicità preistorica, marcia magniloquente, acuta e violenta nella sua disperazione ragionata, autolesionista, complice nel sangue. La morte come sanificazione, la paura di essa come pavida riverenza. Stormi è unestate al mare di coretti e chitarre, una metamorfosi di cantautorato bit, prog italiano, psichedelia, e una voce bellissima che pare rincorrere qualcosa, rincorrersi, raggiungersi, a volte. Buio è celestiale, ammantata di fiorellini iridescenti e sfiati di stelle: Incani pare un Battisti immaginifico, il controcanto di sirene ammalia e sdilinquisce. Carne è declino ineluttabile e meraviglioso sospinto dal vento e dalla salsedine, è quel senso di assolutezza compiuta e incontrollabile proprio della vecchiaia di chi ha vissuto, per davvero. Paesaggio è liquida, squarciata da unalba e inondata di trombe. Mandria è fragore terracqueo, mantra polveroso, sferragliare di campanacci: i Flaming Lips denudati in una campagna sarda battuta dal vento e dalla falce.
Die tutto è, infine, un capolavoro di ossigeno e silicio. Risveglio, ascesi, decadenza, sonno, in un susseguirsi di albe e tramonti che avrà il suo termine, un giorno, o una notte. Non prima che la nostra carne si faccia terra e che la terra si faccia universo, in quellultimissimo istante rivelatore in cui la vita resta sospesa in attesa di svanire. E si lascia toccare.
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