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R Recensione

6,5/10

Giorgio Poi

Fa Niente

La recentissima ristampa in vinile, corredata da due inediti non inclusi nell’album originale (i Tame Impala tricolori de “Il Tuo Vestito Bianco” e lo psych-pop di “Semmai”), ci dà l’occasione di tornare sulle tracce dell’esordio solista del fenomeno cantautorale dell’anno, l’elemento mediaticamente più appariscente di un’ideale triade che comprende anche le melodie sospese di Colombre (“Pulviscolo”) e le sperimentazioni torrenziali di Andrea Laszlo De Simone (“Uomo, Donna”). Di Giorgio Poi (ex Vadoinmessico, poi Cairobi) tutti sanno ormai tutto: natali romani d’adozione, interessante pedigree professionale, esistenza cosmopolita, voce del tutto caratteristica, un primo full length arrivato quasi per caso – se uno, al caso, ci vuole ancora credere. L’aspetto realmente interessante di “Fa Niente”, aldilà della sua ricca costituzione musico-testuale (su cui arriveremo a breve), è l’assoluta polarizzazione dei giudizi catalizzati: disco dell’anno o aborto inascoltabile, tertium non datur. Per una terra di santi, navigatori e cantautori – specie se di nuova generazione – non c’è da stupirsene troppo: se non fosse che, anche in tempi recenti, figure di tutto rispetto come Colapesce, Dimartino, Motta o, addirittura, Dente e Le Luci Della Centrale Elettrica (giusto per limitarci ai più noti) hanno scatenato reazioni ben più mediane.

Quanto attira e respinge al contempo di “Fa Niente”, il suo problema atavico e maggiore punto di forza, è il viaggiare compulsivamente fra due mondi – al di qua e al di là dell’oceano – senza mai soffermarvisi più del necessario. Nel primo si specchia un minuzioso campionario di fugaci momenti condivisi e problematiche relazioni interpersonali, descritte con un linguaggio semplice, a tratti ellittico e sottilmente metaforico (ma assai distante dall’abuso di figure retoriche che ha afflitto il cantautorato tricolore dei giorni nostri), strumento e veicolo di piccole vignette del quotidiano giustapposte con un taglio narrativo un po’ naïf (“Le Foto Non Me Le Fai Mai”, lo stralunato acquerello metropolitano di “Tubature”) ma altresì capace di non comuni trovate ad effetto (il monologare di “Paracadute”, l’ormai citatissima quartina “Tutte le parole che rimangono tra i denti / Chilometri di filo interverbale / Per poterle pronunciare / E prevenire l’imbarazzo di un’incomprensione” da “Niente Di Strano”). Nel secondo – a dispetto di, o forse grazie a, un approccio vagamente slacker – emergono, in tutta la loro incisività, perizia strumentale e fantasia negli arrangiamenti: la speciale attenzione verso la comunicazione non verbale rende “Fa Niente”, di fatto, un disco tanto “suonato” (da intendersi rigorosamente old style) quanto colorato (basta un inatteso salto di tonalità e il Mac DeMarco di “Tubature” rinasce, impetuosamente, in un singalong bandistico che porta inciso “Gulag Orkestar” su ogni suo ottone).

Forse che “Fa Niente” sia il punto zero jazz del nostro cantautorato? Affermazione piuttosto rischiosa, nonostante svariati elementi (il caracollare trasognato delle linee vocali nel ritornello di “Niente Di Strano”, i bassi in dissolvenza e i fraseggi chitarristici di “Acqua Minerale” perfetti per queste giornate uggiose) possano far avanzare qualche legittimo sospetto. In questi nove brani c’è, in verità, moltissima italianità, dispensata a piene mani non solo e nell’immaginario, e nell’interpretazione (il pendolino funky di “Doppio Nodo” è un Alan Sorrenti di buon umore e sotto mescalina): ma la lente dello Stivale, pur pervasiva, non può certo risolvere né interpretare tutto, da qui certe spurie fascinazioni esotiche non giustificabili con la sola vicinanza alla library (“L’Abbronzatura”) o lunghe torch song psichedeliche che rimandano vagamente alla stagione degli anni ’70 (“Paracadute”). Si tratta, in definitiva, di piccole distorsioni diatopiche e diastratiche che vanno a sfrangiare un lavoro complessivamente compatto (non si confonda compattezza con omogeneità!) nelle soluzioni e nell’identità di fondo.

Mica male, per un dischetto pop che raggiunge a stento la mezz’ora.

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Voto degli utenti: 5,6/10 in media su 4 voti.
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Lepo 0,5/10
fabfabfab 7,5/10

C Commenti

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hiperwlt (ha votato 7 questo disco) alle 11:25 del 26 dicembre 2017 ha scritto:

Bel dischetto pop: cantautorato suonato benissimo (le linee di basso in "Niente di Strano", solo per dire), il quale ricalca la tradizione italiana (bellissima la coda battistiana di "Tubature", ad esempio) osservandola dall'esterno (o dall'estero: i giri jingle jangle, la filigrana psichedelica, il piglio anestetico e di basso profilo molto stelle e strisce - Mac De Marco, come citato) e con versi immersi nella contemporaneità. Quest'ultimi interessanti per esplorazione degli oggetti e della quotidianità (alcune trovate, già citate da Marco, anche eccellenti), ma che possono ancora maturare nella scrittura. La voce divide, a me non infastidisce (se non ci si sofferma sui testi, fa da strumento aggiunto); menzione per il video di "Tubature" (!). Recensione davvero a fuoco, Marco.