Giorgio Poi
Fa Niente
La recentissima ristampa in vinile, corredata da due inediti non inclusi nellalbum originale (i Tame Impala tricolori de Il Tuo Vestito Bianco e lo psych-pop di Semmai), ci dà loccasione di tornare sulle tracce dellesordio solista del fenomeno cantautorale dellanno, lelemento mediaticamente più appariscente di unideale triade che comprende anche le melodie sospese di Colombre (Pulviscolo) e le sperimentazioni torrenziali di Andrea Laszlo De Simone (Uomo, Donna). Di Giorgio Poi (ex Vadoinmessico, poi Cairobi) tutti sanno ormai tutto: natali romani dadozione, interessante pedigree professionale, esistenza cosmopolita, voce del tutto caratteristica, un primo full length arrivato quasi per caso se uno, al caso, ci vuole ancora credere. Laspetto realmente interessante di Fa Niente, aldilà della sua ricca costituzione musico-testuale (su cui arriveremo a breve), è lassoluta polarizzazione dei giudizi catalizzati: disco dellanno o aborto inascoltabile, tertium non datur. Per una terra di santi, navigatori e cantautori specie se di nuova generazione non cè da stupirsene troppo: se non fosse che, anche in tempi recenti, figure di tutto rispetto come Colapesce, Dimartino, Motta o, addirittura, Dente e Le Luci Della Centrale Elettrica (giusto per limitarci ai più noti) hanno scatenato reazioni ben più mediane.
Quanto attira e respinge al contempo di Fa Niente, il suo problema atavico e maggiore punto di forza, è il viaggiare compulsivamente fra due mondi al di qua e al di là delloceano senza mai soffermarvisi più del necessario. Nel primo si specchia un minuzioso campionario di fugaci momenti condivisi e problematiche relazioni interpersonali, descritte con un linguaggio semplice, a tratti ellittico e sottilmente metaforico (ma assai distante dallabuso di figure retoriche che ha afflitto il cantautorato tricolore dei giorni nostri), strumento e veicolo di piccole vignette del quotidiano giustapposte con un taglio narrativo un po naïf (Le Foto Non Me Le Fai Mai, lo stralunato acquerello metropolitano di Tubature) ma altresì capace di non comuni trovate ad effetto (il monologare di Paracadute, lormai citatissima quartina Tutte le parole che rimangono tra i denti / Chilometri di filo interverbale / Per poterle pronunciare / E prevenire limbarazzo di unincomprensione da Niente Di Strano). Nel secondo a dispetto di, o forse grazie a, un approccio vagamente slacker emergono, in tutta la loro incisività, perizia strumentale e fantasia negli arrangiamenti: la speciale attenzione verso la comunicazione non verbale rende Fa Niente, di fatto, un disco tanto suonato (da intendersi rigorosamente old style) quanto colorato (basta un inatteso salto di tonalità e il Mac DeMarco di Tubature rinasce, impetuosamente, in un singalong bandistico che porta inciso Gulag Orkestar su ogni suo ottone).
Forse che Fa Niente sia il punto zero jazz del nostro cantautorato? Affermazione piuttosto rischiosa, nonostante svariati elementi (il caracollare trasognato delle linee vocali nel ritornello di Niente Di Strano, i bassi in dissolvenza e i fraseggi chitarristici di Acqua Minerale perfetti per queste giornate uggiose) possano far avanzare qualche legittimo sospetto. In questi nove brani cè, in verità, moltissima italianità, dispensata a piene mani non solo e nellimmaginario, e nellinterpretazione (il pendolino funky di Doppio Nodo è un Alan Sorrenti di buon umore e sotto mescalina): ma la lente dello Stivale, pur pervasiva, non può certo risolvere né interpretare tutto, da qui certe spurie fascinazioni esotiche non giustificabili con la sola vicinanza alla library (LAbbronzatura) o lunghe torch song psichedeliche che rimandano vagamente alla stagione degli anni 70 (Paracadute). Si tratta, in definitiva, di piccole distorsioni diatopiche e diastratiche che vanno a sfrangiare un lavoro complessivamente compatto (non si confonda compattezza con omogeneità!) nelle soluzioni e nellidentità di fondo.
Mica male, per un dischetto pop che raggiunge a stento la mezzora.
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