R Recensione

5/10

Levy

Glorious

Immaginate di prendere gli Strokes e di rileggerli in chiave inglese: prevedibilmente il 99% di voi starà pensando intensamente il nome Libertines. Sbagliato. Rivedete l’equazione musicale, eliminate dalle influenze i Clash, declinate il nome di Morrissey attraverso il filtro del post-Brit Pop più tradizionalista (Charlatans, Travis, Embrace), date alla voce Strokes un connotato più epidermico e ricollocate il tutto a New York. Ecco, forse senza saperlo state già pensando ai Levy.

Fin dal nome un po’ anonimo dei gregari di secondo piano della scena musicale della Grande Mela, divisi tra l’irrefrenabile tentazione per la radio friendliness e il vizietto di imitare un po’ pedissequamente le divagazioni chitarristiche di Albert Hammond Jr. e i vibrati accidentati e arrocchiti di Julian Casablancas.

Per capire cosa intendiamo potete puntare il vostro lettore direttamente alla traccia numero 4, King James, emblematica in tal senso, con il suo attacco scippato dritto dritto da un disco a caso del gruppo newyorkese, ma destinata a trasformarsi dopo pochi secondi in un pastiche pop apparentemente proveniente da qualche oscuro vicolo Mancuniano.

Considerazioni che valevano già per l’esordio del 2005, che pure era baciato da qualche piccola gemma in grado di far risaltare i vizi sulla virtù: ma che qui, nel bel mezzo di un’apparente secca d’ispirazione, si staglia come un’ombra su tutta la tracklist: dove infatti a un gruppo come i Libertines, piacciano o meno, andava riconosciuta la capacità di saper mescolare con sapienza il mazzo delle influenze, qui si ha l’impressione di sciroppi brit pop travestiti da new rock. O viceversa. In altre parole, gli ingredienti non si amalgamano, ma rimangono sempre fianco a fianco.

Ed è un peccato, perché l’impressione è che James Levy qualche asso pop da giocarsi potrebbe anche averlo: arrivano purtroppo troppo tardi, già a metà disco, quando la sala si è ormai svuotata e pochi sono pronti a tornare sui proprio passi. La gradevole filastrocca di Holy Water o le svenevolezze quasi imbarazzanti di Your Demise, ( gli Strokes chiusi in casa per un anno con i Keane ?), per esempio, o l’instant pop epico-romantico Love and Pain.

Paradossalmente il pezzo più convincente è la ghost track, sempre che si sia pronti accettare un livello di ruffianeria melodica abbondantemente al di sopra dei livelli di guardia: che però è parte del D.N.A del gruppo, piaccia o meno. Perchè, apparentemente, la vera natura di questi Levy sembra essere essenzialmente, prepotentemente, pop. Solo loro sembrano non voler prendere atto della cosa: staremo a guardare che cosa ci riservano le prossime puntate e quale  sarà la strada presa da una band al bivio del "difficile terzo disco".

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KidInTheRiot alle 11:42 del 23 ottobre 2007 ha scritto:

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A mio avviso sia il primo, che questo secondo disco dei Levy sono semplicemente album molto piacevoli e in alcuni punti grandi.

Le melodie sono meravigliose,gli arrangiamenti ricordano gli Strokes,ma questo non è per forza un fattore detrattore,anzi!