Rose Elinor Dougall
Stellular
Alle volte è inutile scervellarsi sulle possibili chiavi di lettura di un disco, almeno quando le risposte alle domande che eventualmente ci porremmo in fase di analisi ce le fornisce lautore ancor prima che i nostri dubbi abbiano il tempo di sollevarsi. Le risposte degli autori hanno una caratteristica: sono infinitamente più ermetiche di quelle dei critici, e ovviamente estremamente più significative. Chiedi ad esempio a Rose Elinor Dougall qual è il suo gruppo preferito, ti risponderà: i Broadcast. Scelta di basso profilo, ammettiamolo, anche un po fuori moda. Eppure a buon intenditor poche parole. Se penso a questi sfortunati fratellini minori degli Stereolab (come sono stati in passato definiti, un po a torto un po a ragione) mi viene in testa un congegno così progettato: circuiti sintetici, vernice psichedelica, motore krauto e carburante ad elevato contenuto melodico. Poco da aggiungere, eccolo qui il disegno di Stellular, ennesimo esercizio contemporaneo di ibridazione tra macro e microscopico, tra empireo e quotidiano, tra stellare e cellulare, giustappunto. Ricetta: prendiamo un bel suono di batteria, vaporoso e rotondo, diamogli una propulsione variabile ma implacabile, aggiungiamo qualche bel ricamo chitarristico di quelli molto in voga negli anni 60 (o se vi piace negli 80 più underground del movimento Pasley) e rendiamolo più piccante con dei tocchi decisi di quei synth flashanti da modernariato eighties. Completiamo allabbisogna con una nuvola di cori dolciastri, un po appannati sullo sfondo.
E' in questa sapida dimensione da cucina fusion che la nostra Rose, ex Pipettes già con Mark Ronson, si muove con la risoluta sensualità di una novella Debbie Harry o, se preferite, come una versione indie di Sophie Ellis Bextor. A seconda del brano, le sue melodie calde e suadenti, sempre miracolosamente a fuoco, saranno esaltate da aromi psych (lorientaleggiante mantra dapertura Colour of Water), sospinte da accelerazioni wave (Stellular), sostenute da fraseggi pianistici ballad-oriented (Answer me), catturate da entusiasmi moroderiani (lirresistibile All ad Once). E sono solo assaggi di un menu che non ammette difetti, dalla prima allultima portata. Disco nostalgia? Nientaffatto. Anzi, linsieme suona proprio come il crocevia tra le più influenti tendenze dellattuale scenario, in un ibrido che vede da un lato il pop-rock psichedelico, tra reminiscenze teutoniche e ballabilità, di Horrors, Toy (ah, dimenticavo, è la sorella di Tom Dougall!) e dei giovani Sunflower Bean, dallaltro lormai consolidato revival elettro-pop sofisticato di Real Lies, degli ultimi Wild Beasts e dei tanti altri che cavalcano ancora londa fluo di metà anni 80. Così, per una strana (non)contraddizione, ci sembrerà di ascoltare i Pet Shop Boys, gli Aztec Camera e gli Ultravox di Ure simultaneamente, in una di quelle misture tanto improbabili sulla carta quanto convincenti al palato che fugano definivamente ogni dubbio, per chi ancora ne avesse uno, sulla totale dissoluzione della linea di confine tra indie e mainstream nellestetica musicale contemporanea.
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