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R Recensione

8/10

Teen

Love Yes

"Yes is the answer" cantava John Lennon nel 1973, memore della folgorazione galeotta di cui fu vittima mentre, qualche anno prima, era in cima ad una scala tutt'intento a fissare una piccola scritta sul soffitto. La scala l'aveva messa lì quella Yoko Ono che da quel momento diverrà nella sua psiche un tutt'uno col concetto di "Love", lemma-feticcio stra-abusato nella musica quanto nella vita un po' da chiunque, ma che per l'occhialuto ex-Beatle era divenuto molto più che un clichè da "silly songs", era la sintesi dell'Io e del mondo, era l'incontro con la sessualità e al contempo era il rigore morale che gli impediva l'autodistruzione. Forse anche le Teen cercavano la loro risposta, netta e assertiva, nella potenza di una levità come questa, ed è lì che l'hanno trovata. Di loro non s'è parlato poi tanto, vuoi l'idea del gruppo di ragazze che durante un pigiama-party decidono di inseguire il loro sogno, vuoi il nome che si son scelte, che certo non le ha agevolate nel tentativo di smentire la sensazione di cui sopra, vuoi che l'esordio, probabilmente il tentativo di ricerca di una credibilità artistica, pareva prendersi troppo sul serio, impantanato in una mistura fangosa di psichedelia, plastica fusa tanto per far massa e rigurgiti punk buttati un po' là a dimostrare che "anche noi abbiamo le palle".

Il secondo lavoro provava timidamente l'ormai usuale ibridazione tra un R&B devitalizzato e un pop-sintetico non troppo convinto, ma senza apparente consapevolezza. Qua sembra esserci il cambio di passo. Love Yes si presenta sin dalla copertina il più sfacciato nella sua apparente vacuità, e ad ascoltarlo - diciamolo subito - suona compatto, coerente, intrigante, ironico, un progetto chiaro, benchè multiforme e programmaticamente confusionario. Prendere brani come All About Us o Tokyo per toccare con mano l'idea che Yoko Ono, sì proprio la Yoko delle installazioni ma anche dei dischi "pop-wave" anni '80, non sia poi una così improbabile musa ispiratrice. Anche sul piano squisitamente musicale, le caratteristiche tipiche di un certo J-pop, dall'involucro colorato e bubblegummoso e dalla consistenza filante, aperta alla melodia, ci sono tutte. E la frizione fra infantilismo e pornografia pure. In realtà questo potrebbe essere già un livello di approfondimento più sottile, giacchè la copertina, in cui le nostre paiono delle Spice Girls all'epoca dei Kraftwerk, è ancora forse eloquente di qualsiasi concettosa speculazione. I substrati delle canzoni infatti sono costruiti con perizia artigianale degna di un algido synth-popper agli albori degli anni '80, in cui si innestano deliziosamente i bollori delle donzelle, appena avvolte da una patina ipnagogica (patina che fa il paio con il viraggio cromatico rosso e alonato al neon dell'artwork). Oppure al contrario, come in Superhuman, è il funk trasfigurato che inietta calore tra le gambe di queste verginelle in camicetta bianca, penetrandole dalla porta dell'inconscio, ossia il ballo. In questo ambiente semifluido, che non rinnega la psichedelia delle origini ma la piega stavolta a mezzo e non a fine ultimo, galleggiano frammenti di pop-art, una fiera del modernariato vintage in cui potrete ascoltare influenze colte (come fuggevoli orientalismi e sapienti contrappunti strumentali) o sapidamente triviali (da Madonna ai jingle dei telefilm americani).

In questa gioiosa anarchia sparksiana (direi zappiana se fossi un recensore più coraggioso), si animano le melodie oblique e frastagliate delle voci, che stavolta non cercano una semplice rilettura estetizzante del serioso nu-soul, ma piuttosto sembrano attenersi ad un progetto più ampio, sfruttando a proprio vantaggio certe leziosità da girl-band piuttosto che i piagnistei o i mugolamenti erotici di qualche divastra di turno (anche nella stessa canzone), tutto equilibrato da queste donnine di casa con piccante disincanto; e se si pensa a personaggi come la Allen, la Del Rey o la Cyrus e alla loro attitutine vampiresca si capisce meglio che le Teen sguazzano nell'attualità non meno delle loro più celebri colleghe. Unendo tutti i puntini, si arriva all'essenza del disco, dichiarata dalle stesse autrici, l'esplorazione della "disarmonia" creata tra sessualità e spiritualità nella psiche di una donna, forse solo un archetipo da leggersi con sguardo più ampio: ancora una volta la confusione tra "colto" e "volgare", tra "sporco" e "pulito", tra "rigoroso" e "trasgressivo", tra "vecchio" e "nuovo" e, tanto per cambiare, tra "bianco" e "nero" rappresentano i molteplici riflessi della nevrosi della nostra contemporaneità, il dramma di una società in cui non solo sono saltate tutte le etichette, ma sembra impossibile ripristinarle. Libertà, e smarrimento. Amore, sì.

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Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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rubenmarza alle 10:24 del 6 maggio 2016 ha scritto:

che bella recensione. non ho ancora ascoltato, ma penso proprio che lo farò

woodjack, autore, alle 18:09 del 23 maggio 2016 ha scritto:

cavoli scherzavo quando dicevo "mettete un voto basso"... a quanto pare sono stato subito accontentato! ringrazio ruben per i complimenti... ho cercato di uscire dal clichè del commento alle canzoni singole, ma non so se mi è riuscito di raccontare il disco per come l'ho interpretato...

AndreaKant (ha votato 6 questo disco) alle 13:50 del 4 giugno 2016 ha scritto:

ahaha beh dai siamo sulla sufficienza piena per me! amando le sonorità elettroniche, ho apprezzato il lavoro meticoloso sul sound...sono state proprio le voci, l'atmosfera kitch come tu la definisci, "sparksiana", ad essermi rimaste sullo stomaco, pur comprendendo appieno il loro ruolo nell'economia del disco.

woodjack, autore, alle 18:31 del 4 giugno 2016 ha scritto:

va bene così figurati! mi faceva ridere la conseguenzialità degli eventi ehehehe

pantabellidiritti alle 10:51 del 24 maggio 2016 ha scritto:

Ottima recensione, risultato di uno stile di scrittura che apprezzo moltissimo. L'incipit lennoniano - Mind Games lo adoro - , poi, ti regala un punto in più.

Ah, il disco lo ascolterò al più presto.