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R Recensione

7/10

Thingy

Morbid Curiosity

Anni e anni fa, quando ascoltai per la prima volta “The Amazing Undersea Adventures Of Aqua Kitty And Friends”, decisi che nel pantheon dei miei eroi personali Rob Crow avrebbe permanentemente occupato un posto speciale. Molto del tempo successivo l’ho impiegato cercando di convincere delle mie ragioni chiunque avesse la necessaria pazienza di ascoltarle, e con loro un disco dei Pinback, o magari dei Goblin Cock. Nel mentre è successo di tutto: Crow ha aperto nuovi progetti, li ha chiusi, ha cominciato a scrivere in solitudine, ha messo su famiglia, ha cercato di fare il grande balzo in avanti, non ci è riuscito, ha annunciato il ritiro dalle scene, ci ha ripensato, ha perso un bel po’ di chili e si è rimesso a fare quel che gli riesce meglio, l’eroe mancato (ma sopravvissuto) degli anni ’90. Poi, per il 2018 appena trascorso, il meritato punto di svolta: l’invito ufficiale di Joyful Noise Recordings a diventare loro artist-in-residence, con l’impegno di scrivere e registrare 300 e passa minuti di musica inedita (interpretata da dodici diversi progetti) da rilasciare poi in un box set di dieci 12” e due 7” stampato in 475 copie. Dentro c’è di tutto: questo singolo mai sentito dei Pinback, un nuovo disco dei Goblin Cock (“Roses On The Piano”), la raccolta dei primi cento brani degli Anal Trump, autografi solisti, new acts (segnaliamo i Third Act Problems di “The Sun Setting Over The Argosy Book Store”), classici immortali (i Physics) e monicker così vecchi ed estemporanei che, prima del loro scongelamento, forse non se li ricordava più nemmeno Crow (Optiganally Yours, Remote Action Sequence Project). Infine, i Thingy.

Sui Thingy due parole andrebbero dette. Meteora crowiana dei fumanti secondi ’90 di San Diego, California, in contemporanea all’ascesa (si fa per dire) dei Physics, con cui condividevano il bassista Jason Soares: la lineup era completata dalla cantante Elea Tenuta, che aveva già animato la metà femminile degli Heavy Vegetable, e da Mario Rubalcaba, oggi assai più noto come batterista (fra gli altri) di Earthless e OFF!. Questo come assaggio sommario dell’ambiente. Tra il 1996 e il 2000 un EP, “Staring Contest”, e due full lengths (“Songs About Angels, Evil, And Running Around On Fire” e “To The Innocent”): materiale onesto, ma non esattamente indispensabile. La dismissione, infine. Ora, dopo uno iato maggiorenne, l’anello mancante della trimūrti, “Morbid Curiosity”: quella di chi vorrebbe saggiare empiricamente il rigor mortis, forse, o semplicemente assistere ad una resurrezione eccellente. Perché proprio i Thingy, della montagna di esperienze pregresse accumulate nei decenni da Crow, quale il valore ed il significato recondito del gruppo nell’economia della maratona compositiva, questo non ci sarà mai dato saperlo. Il giudizio è su un disco che non doveva esistere e che, per caso o fortuna, è venuto alla luce.

Se dovessi spiegare a qualcuno cosa v’è di speciale nella scrittura di Rob Crow sceglierei di isolare un singolo frammento di questa cripto-suite in diciannove movimenti: l’ottavo, “Not How It Sounds” (00:59), che parte come un hardcore lo-fi à la “Eight” per poi incantarsi in una cantilena math pop a due voci interamente costruita su un giro ipnotico di armonici. Uno vorrebbe dire anche qualcosa: ma cosa? Che l’apertura obliquo-emozionale della miniatura “Enderbachie” è un colpo basso? Che certe impennate geometriche danno le vertigini (“The Great Sand Diego Major Label Scare Of 92’”), alcune storture acide instillano addirittura timore (l’apertura imperiosa della compagnona “Not To Follow”, gli arrotanti break della pensosa “Spillane”) e che il magone, comunque vada, è sempre in agguato (la pigrizia aritmetislacker di “Grounded, I Guess”, il 7/4 cerebral-emo di “Filament”, l’indie rock al fulmicotone di “Haven’t Slept For Days”)? Capirai: lo sapevamo già. Prospettive e punti di osservazione cambiano: non le intenzioni. Così Rob Crow è lasciato libero di essere sé stesso: nello schitarrare come il ragazzino con lo skate amante del pop punk (“San Diego Rock Song About People Talking In The Movie Theater”), nell’incorniciare con un ritornello generazionale un bislacco ska emozionale (“You’re Not Alone, Kid”), nello shakerare i Pinback in un frullatore post-core (“This Isn’t Heat”) e nel piazzare a fine tracklist un pezzo così lungo e monocorde da non poter non suonare come una presa per il culo (“Memory”).

Ma chi, d’altro canto, non si farebbe prendere per il culo da Rob? Qui fedeli alla linea, sempre. A voi studio.

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