R Recensione

6/10

Scott Weiland

Happy in galoshes

Ne è passato di tempo da quando vidi per la prima Scott Weiland. Era il gennaio 1993, la mai abbastanza lodata e rimpianta VideoMusic iniziava a passare il video di “Plush” e pensai: “Ma Eddie Vedder si è rasato?”. Sedici anni dopo, Weiland è ancora in giro, alla faccia di chi lo ha sempre dipinto come clone e personaggio farsesco, con tanto di disavventure tossiche provenienti direttamente dall’ufficio marketing della casa discografica.

Tra reunion degli Stone Temple Pilots andate male e il sodalizio con quegli zozzoni di Slash e Duff nel reperto archeologico a nome Velvet Revolver, Scott sforna finalmente dal cilindro il seguito al suo ottimo debutto solista del 1998, l’estroso e glammeggiante “12 Bar Blues”. La nuova fatica del frontman di San Diego purtroppo non riesce a porsi allo stesso livello, mostrando spunti apprezzabili dentro una direzione di insieme troppo frammentaria e sfilacciata.

I numeri di pop sinistro ed esuberante che ci avevano fatto gridare al miracolo dieci anni fa, tra questi solchi si contano sulle dita di una mano. Ossia, il brillante pastiche di “Crash” ( con trame chitarristiche e armonie vocali in andatura sconnessa) e la bowieana “Beautiful day “, cinque minuti di riflessi sfocati e inusitati, con le tastiere che ti avvinghiano in apnea. E poi la westcoastiana  “Killing me sweetly”, che riporta a galla il ricordo di “Sour girl”, grazie a suadenti fragranze bossanova.

Il resto dell’album scivola via tra impennate hard fuori tempo massimo (“Missing Cleveland” e “Blind confusion”), arrangiamenti ariosi e sfiancanti ( “She sold her system”, “Archangel”, “Pictures and computers”) o ineffabili umori elettronici che storpiano la “Fame” del feticcio Bowie sotto l’ingombrante egida di prezzemolino Paul Oakenfold. Il Weiland più sornione e lascivo raffiora nelle solari “Tangle with your mind” e “Blind confusion” o nella litania grunge di “Be not afraid”: ma la scrittura difetta del guizzo decisivo per gonfiare la rete come ai vecchi tempi.

Difficile del resto la vita per i dinosauri anni 90: o  si gioca la carta di un progetto preciso e messo a fuoco come Eddie Vedder, o si rischia di fare la fine di Chris Cornell. Pensa bene alla prossima mossa, Scott.

V Voti

Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 1 voto.
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