Holding Patterns
Endless
Se oggi Endless non è il terzo capitolo della carriera dei Crash Of Rhinos lo si deve solamente ad un caso, al gran rifiuto di due ex membri del quintetto inglese di Derby (nello specifico, il bassista Paul Beal e il chitarrista Richard Birkin) di riesumare la ragione sociale interrotta ex abrupto dopo il magnifico Knots (2013). Così il triumvirato formato da Jim Cork, Oliver Craven e Ian Draper, determinato a non darsi per vinto e sigillatosi in sala prove senza alcuna idea di quello che sarebbe successo, ha dovuto studiare delle nuove soluzioni, una formazione classica ed essenziale e un approccio stilistico che doppiasse in eterogeneità e dinamismo quello della band precedente. Holding Patterns di nome e di fatto, insomma. Lo sforzo è ammirevole: nel corposo Endless (quasi cinquantacinque minuti!) non tutto gira come dovrebbe, ma la cristallina sincerità degli intenti e più di un momento allaltezza dei fasti trascorsi ripagano in pieno lazzardo.
Il più evidente elemento di discontinuità, nel passaggio da Crash Of Rhinos a Holding Patterns, è laumento esponenziale della componente indie rock a dispetto degli influssi emo (si ascoltino il solo, fortunato singolo At Speed o il dramma slacker di No Accident), che rimangono massicciamente presenti, ma che sono distribuiti in accenti di consistenza più o meno pronunciata lungo tutta la tracklist. Si può arrivare addirittura a dire, con una generalizzazione non infondata per quanto certamente tranchant, che i numeri emo old style siano in fondo quelli meno interessanti, proprio perché interamente costruiti sulla nostalgia del recente passato (This Shot Will Ring). Pur nella ristrettezza di numeri e mezzi, invece, il trio britannico è capace di ben altre e ben più grandi cose, specialmente con a disposizione un minutaggio consistente: il polimorfico e sguaiato post-math rock di Centered At Zero, la viscerale delicatezza di una ballad elettrica suonata con le chitarre dei Van Pelt (House Fire), la sferzata punk di Dust infarcita di lick post-core, una diaristica e cerebrale Long Dead tra Minerals e CapnJazz. Niente che non si sia già abbondantemente ascoltato nel corso degli ultimi tre decenni, ma il colpo docchio dinsieme è assolutamente entusiasmante e la scelta di chiudere i giochi con latipica disposizione di Momentarily (agitato trotto pop punk che si dissolve in una texture di chitarre slowcore) una chicca da fuoriclasse.
Certo, se avrò ancora voglia di emozionarmi metterò sul piatto una Gold On Red o una Luck Has A Name, non una House Fire. Non ancora. Il tempo dà e il tempo toglie: gli Holding Patterns chiedono un po del nostro tempo ed è una gioia, per noi, concederglielo.
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