Simon & Garfunkel
Bridge Over Troubled Water
L’ultimo album dell’antico duo newyorkese prima della definitiva separazione discografica, a parte le registrazioni di sporadici concerti celebrativi, è completamente dominato da due celeberrime canzoni, poste a quel tempo in apertura delle facciate A e B del disco in vinile.
La prima, che intitola il lavoro, è una superballad intrisa di gospel, condotta inizialmente dal solo pianoforte di Larry Knechtel, ma che si immerge progressivamente in un riverberoso e ciclopico arrangiamento orchestrale: correvano i tempi del cosiddetto wall of sound del produttore Phil Spector e dei suoi seguaci, andava quindi di moda farcire anche le ballate più tenui con bordate sinfoniche ed echi da giudizio universale… Questa elegia all’amicizia ed alla solidarietà nei momenti difficili fu però, ironicamente, la goccia che fece traboccare il vaso e determinò la rottura della coalizione fra i due musicisti: il tiramolla “Cantala tu!”, “No, tu!” fra di loro si era infatti risolto col riluttante Garfunkel a farsi carico dell’interpretazione…
Col risultato che il buon Art deve il suo piccolo, ma imperituro posto nella storia della musica per buona parte a questi suoi cinque minuti di bel canto su di un brano concepito, come sempre d’altronde, dal suo socio. Simon ancora rosica per questo, e spiega: “La gente ci vedeva insieme, lui alto, biondo, magro, bellino e cogli occhi azzurri, io invece scuro, tracagnotto e paffutello, e quasi ci rimaneva male a scoprire che ero io il compositore, il paroliere, il chitarrista ed il cantante principale, e lui solo la seconda voce!”.
Il secondo episodio che dà lustro all’album s’intitola “The Boxer”. L’impianto musicale è in qualche modo simile a “Bridge…”: un inizio sommesso che via via deflagra in una cattedrale di archi e di echi. Qui vi è però l’abile fingerpicking del chitarrista Fred Carter jr. a condurre per mano la cordiale voce di Simon, ben presto doppiata dall’angelico Art. L’infettivo ed ostinato “Lie La Lie” del coro di ritornello, inizialmente vissuto come ripiego dato che non si era riusciti a trovare effettive parole per cantarlo, si rivela invece il punto di forza del brano, ciò che lo rende definitivamente accessibile, nonché distinguibile da qualunque altro pezzo di musica leggera.
Altra canzone di cui parlare specificatamente è “El Condor Pasa”, primo esempio della passione di Simon per le culture musicali “etniche”, una ricerca che negli anni ottanta porterà ad interi e molto incensati suoi lavori solisti. Il tema è in questo caso un traditional andino, vecchio di cent’anni. Simon lo fa eseguire strumentalmente dal gruppo cileno dei Los Incas, sovrapponendo poi un testo e doppiando con la sua voce la bella melodia descritta dai flauti: grandissimo successo ai tempi.
Ancora ritmi esotici per la seguente “Cecilia”, scritta da Simon per… la sua cagnetta di allora! Ma poi il resto dell’album si rifugia, per gran parte, in canzoncine dall’evidente influenza beatlesiana, fra l’altro ricolme di arrangiamenti fiatistici piuttosto aspri ed invasivi. È il caso di “Keep The Customer Satisfied”, di “Baby Driver” e di “Why Don’t you Write Me”.
“So Long, Frank Lloyd Wright” onora proprio il celebre architetto statunitense ed è nuovamente cantata da Garfunkel, in contrapposizione alla finale, brevissima e molto bella “Song For The Asking”, puro Paul Simon, chitarra e voce ed un poco di violini. “Bye Bye Love” è invece la brillante cover del disco, un omaggio agli Everly Brothers, gruppo fra gli ispiratori del duo.
Questo disco fu fra gli album più venduti al mondo nel 1971, riuscendo a prevalere commercialmente su tanti altri ottimi dischi, quindi. Sinceramente l’ho sempre trovato piuttosto farcito di riempitivi, troppi per la fama ed il successo effettivamente ad esso legati. Vale la solita regola: meglio un album con due o tre episodi epocali ed il resto a fare minutaggio o quasi, che un lavoro costantemente di ottimo livello ma senza “punte” di assoluta eccellenza. Comunque, storico.
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