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R Recensione

6/10

Foals

Total Life Forever

Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista. Aveva ragione Caparezza, e chissà se anche Yannis Philippakis e soci l'avranno mai pensato. Le difficoltà nascono dopo aver sfondato già solo col singolo "Electric Bloom", fortunatamente remixato da decine di artisti e dj (Electric Bloom Remixes). Le difficoltà continuano con un disco d'esordio (“Antidotes”) ricco di spunti che ricordavano un po' un curioso incrocio tra Bloc Party e Interpol, shakerati con qualche suggestione synth-elettronica e arty piuttosto interessante. Le difficoltà crescono se magazine come l'NME ti spingono tra i gruppi migliori del momento.

Tant'è che, se il primo album aveva un carattere che poteva seguire un percorso vagamente electro-punk su cui c'era da lavorare, ora quest'anima è piuttosto cambiata. Si abbandona la formula dell'album in cui ogni canzone può essere un potente singolo radiofonico, e si cercano sperimentazioni più sognanti e introverse.

Ok, diciamolo subito: è un disco che ha delle idee. Poche, ma ci sono. Andare a capire quali siano le migliori e come si evolvano può essere interessante e difficile al tempo stesso, sulla scia, magari, dell'ondata synth di qualche freakerie à la MGMT (ma con suoni da Talking Heads o da new wave piena), o, più in superficie, a esperienze art indie rock maturate più a nord della loro Oxford (We Were Promised Jetpacks, Wild Beasts). Le undici tracce del cd sembrano avere tutte un percorso già disegnato e a tratti troppo ridondante. Partono spesso soffuse, lente, distanti, eteree, a creare un'atmosfera un po' dreamy (già dalla prima “Blue Blood”). Poi entrano le percussioni più ritmate (“Miami”, con il fantasma dei Cure alle spalle) che da una ballata tirano fuori una dancefloor agitata e viceversa (“Afterglow” su tutte). La voce riverberata di Philippakis si fa strada timida e distante insieme a qualche coro (“Total Life Forever”). Si sfocia spesso in qualche bel intermezzo di chitarre giocose - niente male - nei loro gridolini electro intrecciati con le percussioni (“Black Gold”). 

 

Dopo un po', però, si rischia la stanchezza d'ascolto, tanto più che alcune canzoni sembrano partire ma non decollare mai del tutto (“Spanish Sahara”, ad esempio, che pure è segnata a metà da un'esplosione piuttosto deflagrante). Il lavoro è troppo uguale a se stesso e non trova altri percorsi oltre a quelli già dettati dalle prime tracce. “This Orient” è la tra le prove con più carattere, già singolo, coi suoi ritmi più alti e quasi da indie-pop bishopallen-iano, anche se un po' più sostenuto. “Alabaster” (dei Coldplay in laboratorio?) e “2 Trees” si pongono come gli episodi più ricercati e intensi che, come l'ultima “What remains”, abbandonano le logiche di easyness pop per risultare maggiormente articolati, sviluppandosi in un sound soffuso più maturo e caratterizzato rispetto al resto. Dove melodia e ricerca si coniugano, i Foals dimostrano di poter dire ancora la propria.

 

Alla fine è un disco con qualche buona idea (poche), pretese discutibili (troppe), come ultimamente se ne sono già visti. Troppi.

V Voti

Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 17 voti.
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target 7/10
Teo 6/10
REBBY 7/10
motek 7,5/10
zebra 7,5/10

C Commenti

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target (ha votato 7 questo disco) alle 9:23 del 14 maggio 2010 ha scritto:

A me piace, ben più dell'esordio! Anzi, trovo proprio i pezzi come "This orient" più deboli. Hanno individuato una strada tra revival wave e art-pop non così battuta e interessante anzichenò.

Marco Di Francesco, autore, alle 10:21 del 14 maggio 2010 ha scritto:

Io ho avuto un'impressione di vaga ripetizione tematica in tutto l'ascolto del disco. Credo sia l'inizio di qualcosa e voglio vedere dove andranno a parare. Forse con un terzo disco potremo identificare il loro vero carattere. Forse è un disco che conquista meglio dopo un po' di ascolti

target (ha votato 7 questo disco) alle 14:20 del 14 maggio 2010 ha scritto:

Ah, di sicuro conquista meglio dopo un po' di ascolti! Tutto sommato sembrano i Bloc Party se non si fossero persi per strada e se fossero riusciti a passare alla fase successiva, fondendosi magari con gli ultimi Coldplay eno-iani, ma mantenendo sempre di base le loro geometrie chitarristiche, fatte però liquide. Se avessero perso fisicità, insomma. "Spanish sahara", per dire, mi pare un bell'esempio di pop di qualità versione 2010. "Alabaster" l'altro mio picco.

Marco Di Francesco, autore, alle 16:04 del 14 maggio 2010 ha scritto:

Io mi aspettavo qualcosa di diverso forse, ma le diverse suggestioni per poter crescere ci sono. E' che ho paura che troppi gruppi si uniformino alle direzioni liquide e freak dei vari mgmt. Che non sono niente male, ma non vorrei che fossero l'unica direzione

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 15:47 del 7 giugno 2010 ha scritto:

Io questo secondo album lo trovo nettamente migliore del precedente, che a me, a parte Electric bloom, non era poi tanto piaciuto.

Intendiamoci, non ho intenzione di strapparmi

nessuno dei pochi capelli rimasti, ma mi sembra

un'opera scorrevole e piacevole di art-rock

perlopiù (ma non solo) funk oriented (che dire

math-pop magari non è poi più tanto così di moda

eheh). E' vero poi che migliora con gli ascolti e

questo è un pregio da non sottovalutare. Chissà,

se continua così potrebbe anche candidarsi ad

essere uno dei miei dischi per l'estate, che per

definizione in genere tutti vogliamo un po' light

....