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R Recensione

6/10

Junior Boys

It's All True

Quando nel 2004 i Junior Boys diedero alle stampe il loro debutto-capolavoro Last Exit, l’aspetto più folgorante del loro sound riguardava il trasferimento di sensazioni eighties, legate a un vasto repertorio synth-pop/new romantic, in un ambito del tutto inedito, quale quello da cameretta. Quel disco era la colonna sonora per la nuova generazione digitale, un flusso di ritmi minimali e secchi dai quali traspariva un senso di apatia e paranoia. In questo senso Banana Ripple, la traccia finale di It’s All True, quarto lavoro del duo canadese, è quanto di più lontano si possa immaginare dalla rigida eleganza dell’esordio: una lunga cavalcata (9 minuti!) con un deciso battito house, contaminazioni r’n’b/funky, synth galoppanti, un tappeto ritmico irresistibile sul quale Greenspan si destreggia con sorprendente sensualità, sfoggiando un falsetto ultra-emotivo, probabilmente la sua migliore interpretazione vocale di sempre. Nel finale si raggiungono addirittura vette da anthem: tutto diventa una catartica celebrazione della gioia di vivere, un inno appassionato che invade l’ascoltatore di una vibrante carica positiva. Un capolavoro.

Banana Ripple sembra essere una precisa dichiarazione d’intenti sul futuro del duo: abbandonate le futuristiche geometrie della prima fase, Greenspan e Didemus vogliono dare semplicemente una dimostrazione di classe ed eleganza, concentrandosi maggiormente sul loro lato più prettamente pop. Purtroppo, come alcuni episodi di questo disco testimoniano, questa transizione deve ancora fare i conti con dei rigurgiti sperimentali che sono privi di una vera convinzione alla base: è evidente che l’ispirazione nell’ambito più cervellotico del loro stile stia scemando, per cui risulta piuttosto frustrante trovarsi di fronte a costruzioni ritmiche che in fondo si rivelano disperatamente noiose. Prendete ad esempio Kick The Can: non ha senso riproporre, in modo così meccanico e monotono, suggestioni Kraftwerkiane in una salsa techno priva di nerbo. Così come è deprimente districare le fila di una canzone come The Reservoir, che semplicemente non porta da nessuna parte con i suoi continui rallentamenti. Bisogna dunque accontentarsi del ritmo frenetico dell’opener Itchy Fingers, segnata da un beat serrato e nevrotico, micro-suoni che si insinuano nel tessuto sonoro e un fascino melodico ben presente. O della slow-jam di stampo Blue Nile che è Playtime, forse eccessivamente soporifera, ma con il loro caratteristico tocco di classe. In mezzo, due apprezzabili numeri synth-pop: You’ll Improve Me, che vive del contrasto tra i synth metallici e la sensuale vocalità di Greenspan, e A Truly Happy Ending, che azzecca un refrain piuttosto orecchiabile e appiccicoso. D’altro canto, Second Chance sfoggia una grande linea di basso e una melodia di ampio respiro, cui segue un interessante intreccio strumentale dal gusto funky/r’n’b.

Insomma, i Junior Boys non incantano più come ai tempi dell’esordio, ma d’altronde sarebbe ingiusto aspettarsi ciò: più ragionevole invece pretendere una virata più decisa e ispirata verso un pop fresco e vitale. Per ora scelgono una via di mezzo che lascia un po’ l’amaro in bocca, considerando gli splendidi risultati che canzoni come Banana Ripple raggiungono in questo disco. L’impressione è che, comunque, la band non si sia smarrita per strada: bisogna solo aspettare che questa transizione avvenga in modo definitivo.

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synth_charmer (ha votato 5 questo disco) alle 0:25 del 29 giugno 2011 ha scritto:

diciamo pure che finora erano riusciti a tenere in piedi una specie di incantesimo, con una formula electro-pop che suonava sorprendentemente vitale nonostante i pericoli estetici. E il miracolo è durato 3 dischi, ora non c'è più grinta. Delusion.