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R Recensione

8/10

Ulterior

Wild In Wildlife

Ha avuto poca considerazione, in patria e altrove, questo esordio degli Ulterior, quartetto di Londra giunto al debutto su LP dopo vari singoli rilasciati negli ultimi anni. Colpa, forse, di un look piuttosto lontano dalle mode del momento (i quattro dimostrano di essere dei tipi eccentrici anche girando con dei soprannomi da gang di quartiere); o forse, più semplicemente, il loro prodotto musicale è semplicemente troppo complesso per essere apprezzato oggigiorno da un pubblico ampio (infatti, è difficile trovare un buon seguito facendo gothic-rock nel 2011). Se però ci si prende il tempo per analizzarlo dovutamente, il disco rivela una numerosa rete di rimandi a decenni di musica britannica, presentando al contempo un impianto originale e unico nell’odierno panorama musicale. Dove si potrebbe trovare, infatti, una band che unisca in modo così compatto le pulsioni sfrenate di “XTRMNTR” con atmosfere dal taglio gotico, inserite a loro volta in agghiaccianti contesti industrial, senza tuttavia trascurare la qualità del songwriting?

Quello che sorprende di “Wild In Wildlife” è il suo presentarsi solido pur nell’incredibile varietà dei singoli episodi. Questo perché i brani, per quanto distanti, presentano una serie di elementi comuni: in primo luogo, un muro di suono invalicabile, con chitarre sature che tracciano linee irregolari e nevrotiche; poi una sezione ritmica, con tanto di drum machine nel segno di Doktor Avalanche, che propelle scariche adrenaliniche; infine, l’enfatica voce di Honey, che copre un ampio spettro di soluzioni, come dimostrano la traccia iniziale e quella finale, l’una situata in un clima di terrore, l’altra quasi una ninna nanna persa nella notte dei tempi. Su tutto il disco regna un’atmosfera opprimente e decadente, senza uno spiraglio di luce: sembra la colonna sonora di un mondo post-apocalittico. Il videoclip di "Sex War Sex Cars Sex" ne è ritratto perfetto: nebbia, luci rosso sangue, flash violenti che squarciano il campo visivo, esplosioni e sfocate immagini di strade desolate, con Honey novello Eldritch e il chitarrista Simmons che rimanda al Bernard Butler dei più malati video dei Suede. Se questo non bastasse, provate a collegare la musica alle scene di “Akira” o di qualche cartone di Rintaro: otterrete una perfetta simbiosi catastrofica.

Il pezzo in questione presenta una struttura intricata e lontana dalla forma canzone: per un lunghissimo minuto e mezzo Honey declama un inquietante e perverso racconto, mentre le chitarre metalliche e la drum machine, memori dei Killing Joke, si riavvolgono sullo stesso tema creando una tensione insostenibile, che esplode nella seconda parte, quando effetti e distorsioni vengono risucchiati in un un mantra degradato, ripetuto ossessivamente in un’inesorabile progressione di devastazione psichica. Quasi all’opposto, “Catherine” coniuga un sostrato electro-gothic con l’aggressiva carica melodica dei primi Manic Street Preachers; “Sister Speed” si muove su velocità supersoniche, mostrando il volto dei Primal Scream deformato dal nero della notte; “Dream Dream” è un lungo cerimoniale dark con un synth da incubo. Quasi a distendere l’atmosfera, “Big City Black Rain” stempera tanto cupo esistenzialismo in un folk-rock di ampio respiro (qui si potrebbe aprire una riflessione sul legame a doppio filo fra il gothic rock e la musica folk: sin dai tempi di "First And Last And Always" dei Sisters infatti i due mondi non disprezzano di comunicare - e è sorprendente come nessuno mai lo faccia notare). Secondo un andamento dualistico che si ripete un po’ in tutto il disco, “Too In Love To Fuck” deflagra in un chorus gonfio di epica giovanilistica, dopo una sferzante strofa industrial, mentre “The Emptiness We Share” sfoggia il ritmo più martellante della scaletta e “Tarantula” fa sue texture chitarristiche al limite dell’hardcore.

Come anticipato, nel corso di "Wild In Wildlife" è possibile scorgere una struttura costituita dallo scontro di forze opposte: da una parte, uno spirito fiero e aggressivo; dall’altra, il senso di un tragico destino incombente, che permea diversi passaggi del disco di un tetro fatalismo. In questo senso, la title-track e la conclusiva “Shallow Brown” suonano come le definitive elegie di sconfitta: la prima è una cavalcata funerea che nell’arco dei suoi nove minuti si muove fra lamenti post-punk e commoventi aperture shoegaze, gettando in quest’ultime un disincantato sguardo su spazi immensi, laddove il cielo blu diventa un ponte per il suicidio; “Shallow Brown” è l’addio definitivo, lo sconsolato poetare di un’anima perduta, un folk celtico che suona come un estremo requiem: lontano migliaia di chilometri dall’incendiaro avvio del disco, il brano rivela il senso ultimo di un lavoro che si può quasi considerare un concept sulla caducità.

Emozionante e devastante al tempo stesso, “Wild In Wildlife” è un’opera colma di quell’elemento in più che svincola la musica dal mero esercizio di stile per affidarle un posto più alto: la passione.

 

Ringrazio Federico Romagnoli per la segnalazione e i preziosi spunti

 

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Cas 7/10
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REBBY 6,5/10

C Commenti

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crisas (ha votato 6 questo disco) alle 2:43 del 12 luglio 2011 ha scritto:

Posseduti

Sono troppi i gruppi che mi vengono in mente ascoltando le singole canzoni, sembra quasi di giocare ad un quiz musicale. Per fare un solo esempio in questo momento sto riascoltando "Too in love to fuck", il gruppo è posseduto dagli U2. In altre vengono posseduti dai Depeche Mode, il chitarrista è spesso vittima del fantasma dei Cure, insomma ... questo gioco si potrebbe continuare per ogni singola canzone e addirittura per ogni singolo strumento.

Tre quattro canzoni si possono ascoltare, su altre (come sex war sex car) stenderei un velo pietoso.

Dr.Paul alle 10:03 del 12 luglio 2011 ha scritto:

gli episodi un pochino troppo abrasivi non mi piacciono granchè......non un gran disco per i miei gusti! decisamente meglio i sisters of mercy per quanto mi riguarda! io qui non ci sento gli U2, neanche i cure e i DM, proprio zero!! inoltre vorrei chiedere a gioele: cosa intendi con legame a doppio filo tra goth e folk???

Cas (ha votato 7 questo disco) alle 14:03 del 12 luglio 2011 ha scritto:

carino, anche se...

...il disco nel complesso è un pò pesantuccio, qualche passaggio a vuoto di troppo e il livello di testosterone tende a denaturare un pochino il risultato (si prenda l'enfasi eccessiva di sex war sex...). però ci sono dei buoni pezzi (quelli più multisfaccettati: catherine, big city black rain...)e un interessante rivisitazione degli ultimi 30 anni di musica passati nel filtro di XTRMNTR (operazione da non sottovalutare). via, 7!

FeR (ha votato 10 questo disco) alle 20:06 del 21 dicembre 2011 ha scritto:

la gemma gotica dell'anno. La title-track, apocalittico inno suicida, è da seguire rigorosamente con testo a fronte.

REBBY (ha votato 6,5 questo disco) alle 16:17 del 27 febbraio 2012 ha scritto:

Io non sottovaluto di certo la competenza di Gioele quando parla di giovani rock band britanniche, quindi ci sarà anche del talento in questi ragazzi, ma a me sembra ancora da sgrezzare. Chiaramente influenzato da varie band "del'epoca d'oro della new wave", non tutte riconducibili al così detto filone gotico, non credo però che sia LP d'esordio che possa essere messo sullo stesso piano di quelli (dello stesso anno e ben più consistenti) di Chapel club e S.C.U.M., anche se la lunga title-track non sfigura affatto (gran bel pezzo!).