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R Recensione

8/10

Flaming Lips

Transmissions From The Satellite Heart

Che fenomeni i Flaming Lips. Al giro di boa dei venticinque anni d’onorata carriera sono ancora in circolazione con il loro assurdo alternative-rock d’intrugli psichedelici, alla faccia di certi novelli Bono Vox promotori di chissà quali cause umanitarie. E già al terzo album impagliati come il gufo nel motel di Norman Bates. Mi domando con cosa diavolo facesse colazione il piccolo Wayne Coyne, l’ormai brizzolatissimo capitano di corvetta Flaming Lips nei mari aciduli della psichedelia moderna. Latte in polvere e aspirina c? Corn-flakes allucinogeni? Sembrerebbe che il nostro uomo di Oklahoma City non sia (quasi) mai ricorso all’uso di sostanze dopanti per l’emisfero destro del cervello: non ne aveva bisogno, e probabilmente la sua stralunata vena creativa è un dono cosmico frutto di misteriose congiunzioni astrali. Complimenti a Wayne, nato con quel barlume di lucida follia tipica dei veri eretici come l’abbrustolito Giordano Bruno (che ha avuto, ahimé, la fortunasfiga di reincarnarsi nel fantasista che scommetteva troppo).

Con il fratello Mark Coyne a ululare sfacciato e gli altri ragazzacci della ciurma parte così l’avventuroso viaggio garage-psych delle Labbra Fiammeggianti (“Hear It Is”, 1986), solcando oceani mossi tra i ritagli pinkfloydiani a bassa fedeltà del surrealista trip “Oh, My Gawd!!!”, pittoresca la copertina di un Salvador Dalì andato in acido, le scariche elettriche stoogesiane della lisergica Chirurgia Telepatica e la schizofrenia organizzata di “In A Priest Driven Ambulance” al principio dei Novanta. Piccoli incidenti di percorso: l’equipaggio di bordo naviga su una scialuppa di salvataggio ostaggio dell’alta marea, c’è chi va e chi viene (Mark saluta tutti subito rimpiazzato alla voce dal fratellino, la chitarra friggitrice di Jonathan Donahue trasmigrerà a breve nei cugini Mercury Rev, Michael Ivins subentra al basso), perché la vita è pur sempre una scatola di cioccolatini e domani è un giorno diverso. Figurarsi per l’iperattivo leader della brigata FL che cento ne fa e una ne pensa, con lo stesso candore sconclusionato di Forrest Gump. Nel ’92 arriva a sorpresa la fondamentale firma con la Warner Bros. (da allora fedele alleata della band) e il transitorio “Hit To Death In The Future Head”: la momentanea staffetta fra il vecchio amico Dave Fridmann, che tornerà presto dietro il mixer, e il discreto Keith Cleversley lascia briglie sciolte all’istinto più melodico dei Lips, inaugurando una svolta alt-pop opportunamente sporcata da riff sgranocchianti sul canto trasognatoweird del leader (“Pilot At The Queer Of God”, i Led Zep a una convention di “Star Trek”, la citazione lennoniana della soave “Oh, My Pregnant Head”, il secco interludio acustico “Plastic Jesus”).

“Transmissions From The Satellite Heart” trasmette pericolosi segnali audio-radioattivi verso quel coagulo cardiaco di emozioni fragile e instancabile che pulsa nelle giovani menti di buona volontà. Le chitarre in surplus Big Muff d'un Coyne tinto punkosamente di rosso e della new-entry Ronald Jones grattugiano felici il pop low-fi in flanella del singolo “She Don’t Use Jelly”, abile miscela finto-nerd che cozza Pavement e Smashing Pumpkins (spopolerà nel pubblico alternativo dell’anno di grazia 1993 grazie alla colonna sonora di “Beavis & Butt-head”), intanto una vocina promette “Be My Head And I’ll Be Yours…” negli sfrigolii elettrici di un caramelloso happening flower-power, e stralunate stramberie psycho-folk svoltano improvvise in una sgangherata marcetta barrettiana (“Moth In The Incubator”). L’utopia sensoriale di Timothy Leary vista attraverso lo sguardo beffardo di Bugs Bunny che gusta il carotone, "turn on, tune in, drop out" non è mai stato tanto innocente e privo di controindicazioni.

Slow Nerve Action” è l’epilogo SabbathBeatles, un gigante d’argilla frantumato dal possente passo di Steven Drozd a percuotere implacabile le pelli. Un blocco di cemento bonzoniano lanciato in pieno mare aperto, che scende al ralenti giù negli abissi del fondo marino accompagnato da una striscia infinita di bollicine d’acqua dolce. Lì nel profondo blu, dove aspettano spugna Spongebob e le allegre alghe colorate del drogato mondo acquatico di Bikini Bottom, ovvero gli amichetti immaginari delle future mutazioni electro-poporchestrali del nostromo Coyne (“The Soft Bulletin” e “Yoshimi Battles The Pink Robots”). Ma poi sarà vero che la tipa non usava gelatina? La risposta scivola via veloce nello scarico del lavandino mentre osservo il mio dentifricio spremuto come un limone di Robert Johnson, e amen. “…I know a girl who reminds me of Cher…She's always changing the color of her hair…”

 

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Voto degli utenti: 7,9/10 in media su 9 voti.
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Teo 8/10
Lelling 8,5/10

C Commenti

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ozzy(d) alle 20:23 del 9 febbraio 2011 ha scritto:

Bella rece Daniele. Onestamente non ho mai amato più di tanto né i flaming lips beatlesiani di questo disco o quelli sboroni di the soft bocchin, per me i loro capolavori sono ben altri (Oh My gawd, Telepathic surgery, In a priest..., Zaireeka e Embryonic).

Ivor the engine driver (ha votato 7 questo disco) alle 13:26 del 17 febbraio 2011 ha scritto:

RE:

Concordo con Gulliver in toto, i primi 4 Lips sono imperdibili, anche se magari sfilacciati e altalenanti. Questo è l'unico del secondo periodo che mi piace veramente. Mai sopportato Soft Bullettin, tanto al tempo quanto ora.

galassiagon (ha votato 8 questo disco) alle 19:17 del 10 febbraio 2011 ha scritto:

XXXXXXXXX

In questo disco ci sono i F.L migliori:

Mother In the , When Yer 22 (gli Who di Next?),Oh My Pregnant Head e le pop songs.

Non mi convincono invece i primi 2 brani del disco. Bellissima produzione (in vinile è una goduria).

NathanAdler77, autore, alle 22:00 del 12 febbraio 2011 ha scritto:

La mia top-fàiv Flaming Lips: 1) "In A Priest Driven Ambulance" 2) "Embryonic" 3) "The Soft Bulletin" 4) "Transmissions From The Satellite Heart" 5) "Oh My Gawd!!!"

bill_carson (ha votato 8 questo disco) alle 3:02 del 18 febbraio 2011 ha scritto:

chi sarebbero questi novelli Bono Vox?

...vabè.

gran disco comunque, anche se non il mio preferito dei Lips.

ThirdEye (ha votato 8 questo disco) alle 23:22 del 26 febbraio 2015 ha scritto:

Disco tanto folle e sgangherato quanto mirabilmente pop. Genio e cazzoneria a braccetto. "Moth In The Incubator" la classica cigliegina sulla torta. Una perla. Nonostante a parere mio il disco a precedente, quel capolavoro di pop stralunato che fu "Hit To Death..." resta 5 spanne sopra questo, "Transmissions.." rimane un album figo a bestia.