Flaming Lips
Transmissions From The Satellite Heart
Che fenomeni i Flaming Lips. Al giro di boa dei venticinque anni donorata carriera sono ancora in circolazione con il loro assurdo alternative-rock dintrugli psichedelici, alla faccia di certi novelli Bono Vox promotori di chissà quali cause umanitarie. E già al terzo album impagliati come il gufo nel motel di Norman Bates. Mi domando con cosa diavolo facesse colazione il piccolo Wayne Coyne, lormai brizzolatissimo capitano di corvetta Flaming Lips nei mari aciduli della psichedelia moderna. Latte in polvere e aspirina c? Corn-flakes allucinogeni? Sembrerebbe che il nostro uomo di Oklahoma City non sia (quasi) mai ricorso alluso di sostanze dopanti per lemisfero destro del cervello: non ne aveva bisogno, e probabilmente la sua stralunata vena creativa è un dono cosmico frutto di misteriose congiunzioni astrali. Complimenti a Wayne, nato con quel barlume di lucida follia tipica dei veri eretici come labbrustolito Giordano Bruno (che ha avuto, ahimé, la fortunasfiga di reincarnarsi nel fantasista che scommetteva troppo).
Con il fratello Mark Coyne a ululare sfacciato e gli altri ragazzacci della ciurma parte così lavventuroso viaggio garage-psych delle Labbra Fiammeggianti (Hear It Is, 1986), solcando oceani mossi tra i ritagli pinkfloydiani a bassa fedeltà del surrealista trip Oh, My Gawd!!!, pittoresca la copertina di un Salvador Dalì andato in acido, le scariche elettriche stoogesiane della lisergica Chirurgia Telepatica e la schizofrenia organizzata di In A Priest Driven Ambulance al principio dei Novanta. Piccoli incidenti di percorso: lequipaggio di bordo naviga su una scialuppa di salvataggio ostaggio dellalta marea, cè chi va e chi viene (Mark saluta tutti subito rimpiazzato alla voce dal fratellino, la chitarra friggitrice di Jonathan Donahue trasmigrerà a breve nei cugini Mercury Rev, Michael Ivins subentra al basso), perché la vita è pur sempre una scatola di cioccolatini e domani è un giorno diverso. Figurarsi per liperattivo leader della brigata FL che cento ne fa e una ne pensa, con lo stesso candore sconclusionato di Forrest Gump. Nel 92 arriva a sorpresa la fondamentale firma con la Warner Bros. (da allora fedele alleata della band) e il transitorio Hit To Death In The Future Head: la momentanea staffetta fra il vecchio amico Dave Fridmann, che tornerà presto dietro il mixer, e il discreto Keith Cleversley lascia briglie sciolte allistinto più melodico dei Lips, inaugurando una svolta alt-pop opportunamente sporcata da riff sgranocchianti sul canto trasognatoweird del leader (Pilot At The Queer Of God, i Led Zep a una convention di Star Trek, la citazione lennoniana della soave Oh, My Pregnant Head, il secco interludio acustico Plastic Jesus).
Transmissions From The Satellite Heart trasmette pericolosi segnali audio-radioattivi verso quel coagulo cardiaco di emozioni fragile e instancabile che pulsa nelle giovani menti di buona volontà. Le chitarre in surplus Big Muff d'un Coyne tinto punkosamente di rosso e della new-entry Ronald Jones grattugiano felici il pop low-fi in flanella del singolo She Dont Use Jelly, abile miscela finto-nerd che cozza Pavement e Smashing Pumpkins (spopolerà nel pubblico alternativo dellanno di grazia 1993 grazie alla colonna sonora di Beavis & Butt-head), intanto una vocina promette Be My Head And Ill Be Yours negli sfrigolii elettrici di un caramelloso happening flower-power, e stralunate stramberie psycho-folk svoltano improvvise in una sgangherata marcetta barrettiana (Moth In The Incubator). Lutopia sensoriale di Timothy Leary vista attraverso lo sguardo beffardo di Bugs Bunny che gusta il carotone, "turn on, tune in, drop out" non è mai stato tanto innocente e privo di controindicazioni.
Slow Nerve Action è lepilogo SabbathBeatles, un gigante dargilla frantumato dal possente passo di Steven Drozd a percuotere implacabile le pelli. Un blocco di cemento bonzoniano lanciato in pieno mare aperto, che scende al ralenti giù negli abissi del fondo marino accompagnato da una striscia infinita di bollicine dacqua dolce. Lì nel profondo blu, dove aspettano spugna Spongebob e le allegre alghe colorate del drogato mondo acquatico di Bikini Bottom, ovvero gli amichetti immaginari delle future mutazioni electro-poporchestrali del nostromo Coyne (The Soft Bulletin e Yoshimi Battles The Pink Robots). Ma poi sarà vero che la tipa non usava gelatina? La risposta scivola via veloce nello scarico del lavandino mentre osservo il mio dentifricio spremuto come un limone di Robert Johnson, e amen. I know a girl who reminds me of Cher She's always changing the color of her hair
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