Bjork
Biophilia
Il rischio con le operazioni di transumanza tecnologica come Biophilia è mangiucchiarsi a puro contorno il fine, schiacciato sotto il peso della sovrastruttura-interfaccia-mezzo e dei mille link di un perfido touch-screen. Il fine sarebbe il banalissimo ascolto di quei dieci-pezzi-dieci negli auricolari (Headphones). La fine quella ben nota del supporto audio fisico. D'altronde a Bjork Gudmundsdottir piace azzardare e fin dalla sua miglior stagione, che potremmo archiviare nella cartella-file UnIslandese A Londra, dimostra un karma-killer da impavida trapezista circense. Nel mezzo un tribolato corollario di stalker psicolabili, crolli nervosi, il sadico Von Trier, lincontro con il figo scultore multimediale Matthew Barney, un figlio, la grande fuga nella Grande Mela. E una lunga, compiaciuta, sterile fase di autismo artistico che avevi voglia di urlargli tornatene fra i geyser insieme alle stradannate vocali aperte come il vulcano Grimsvotn e liberaci dalle tue cantilene. Amen.
Medulla e Volta (già colpevole di una copertina traumatica) ambivano a estremizzare i suoni e le idee dei lavori londinesi con Nellee Hooper, Tricky, Howie B etc., crogiolandosi spesso nella loro voglia esasperata d'avanguardia per le masse e in un onanismo creativo degno di Nadia Cassini. Avete presente la pasta al pesto e pomodori? 400 gr circa di pasta, cento di pancetta, una confezione di pesto, pomodorini e sale. A me il pesto agita la parete intestinale. Qualche dolorino gastrico, ecco. Bjork era diventata una pasta al pesto cubica, variavi il peso degli ingredienti del suo proverbiale art-electro-pop-ancestrale e il risultato aveva sempre il gusto statico di un congresso annuale del PD, in un ciclico replay di suggestioni pagane e ricerca metafisica, biologia versus utopia naturalistica, scienza indagatrice dei misteri della vita e del cosmo, stupore, meraviglia, oooh e aaah per linfinito universo in origine simile a un cold black egg (più vicini al Benigni ecumenico-dantesco che al sincero umanesimo malickiano).
Magari il prossimo lo chiama Flora Et Fauna, intanto Lei parla dintensi processi educativi fra musica e natura neanche fosse ospite a Geo & Geo. Tuttavia Biophilia segna un timido scarto rispetto alle ultime prove, almeno in teoria. Tradotto: temo lo ricorderemo fondamentalmente perché primo album-app di unartista globale, concepito sulliPad attraverso un programma che muta in algoritmi fenomeni naturali quali solstizi, cristalli di minerale o virus infettivi (!), non-oggetto multitasking smaterializzato tra i pixel minimalisti delliMac mentre scaricate dalliTunes Store immagini e giochi interattivi a 99 centesimi per traccia. San Steve Jobs che sei nei cieli ti ringraziamo anche per questo. Non bastasse ai tablet-maniaci cotanto hype hi-tech le note promozionali a margine della produzione di Bjork e dei smanettoni electro-dubstep 16Bit cinformano della bontà degli strumenti ibridati ad hoc per la mastermind nordica, segnalo alle future generazioni la mitologica gamelesta che unisce gamelan e celeste, una bobina di Tesla usata a mo di basso e pendoli disposti in modo da sfruttare il movimento terrestre, e che il quasi cageiano brano Hollow ha una complessa architrave armonica in diciassette-ottavi.
Ok, tutto interessante, tutto molto adeguato al profilo chic e neo-avanguardista che la signora Barney tiene dal 2001 del prezioso Vespertine, ma la scintilla, le canzoni, la polpa emozionale? I fiabeschi rintocchi acustici della Joanna Newsom folk-astrale di Moon (arpa di Zeena Parkins) e lorgano a canne che soffia droni mesti sulle superbe contorsioni di voci e vibrazioni digitali in Thunderbolt preservano una certa fascinazione e lo stesso singolo Crystalline, con trascurabile video del solito Gondry, non delude nelle sue voragini di beats schiumosi, campanelli e schegge drumnbass da 5 Years in sedicesimo. Io, se proprio devo, scelgo una catatonica Cosmonogy, che disperde granuli di morbida Kate Bush e cori femminili tra gli abissi e le nebulose stellari, lincedere gothic-tronico di Sacrifice e gli echi ectoplasmatici della scheletrica Dark Matter, che infatti è scritta con Mark Bell.
Lordinaria amministrazione bjorkese vaga nel consueto limbo delleroina techno-pop di Reykjavik, con il podio minore occupato dallincompiuta Nico Post-mortem di Solstice e da alcuni goffi rimandi al passato nel carillon manierista di Virus (commovente love-story fra un agente patogeno e lo sfigato ospite) e nellurto pseudo-industrial che spezza la falsa quiete liturgica di Mutual Core. Piccole auto indulgenze, insomma, che non noteranno troppo gli avventurieri della strombazzata applicazione by Apple. Per tutti gli altri sarà dura provare lentusiasmo fanciullesco di Cartman sul trenino ciuf ciuf del signor Jefferson.
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