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R Recensione

6,5/10

PS I Love You

For Those Who Stay

I PS I Love You sono una di quelle band che si amano o si odiano, prima di tutto perché la loro musica è caratterizzata da un impatto sonoro molto forte, dovuto all’alternanza di momenti veloci ed urlati ad altri più pacati e tranquilli, ma sopratutto perché il modo di cantare stridente (e a volte fuori tempo) di Paul Saulnier, frontman del gruppo, non lascia spazio a compromessi.

Per chi non li conoscesse, i PS I Love You sono un duo Canadese in stile White Stripes, formato da Paul Saulnier (voce, chitarra) e Benjamin Nelson (batteria e percussioni) che spaziano tra sonorità indie rock, garage e con sprazzi noise e grunge.

Uscito per la Paper Bag Records, "For Those Who Stay" è il loro terzo album dopo "Meet Me at the Muster Station" del 2010 e "Death Dreams" del 2012. Per registrarlo hanno deciso di tornare a Kingston, loro paese d'origine, facendo sì che il lavoro risulti decisamente sanguigno e viscerale.

L’uscita dell’album è stata preceduta dal lancio del singolo omonimo contraddistinto da un suono dilatato e pieno di riverberi grazie anche all'uso di tastiere e basso synth degli amici e collaboratori Tim Brutone e Matt Rogalsky. Il pezzo è davvero bello, relativamente lungo -oltre sei minuti di durata-, con la presenza di coretti a rendere l’atmosfera più surreale e con una sorta di assolo finale psichedelico e galattico ad impreziosire ancora di più la resa.

L’album parte forte con "My Mind at Least", pezzo adrenalinico che fa capire sin da subito l'andazzo del disco per proseguire poi, sulla stessa lunghezza d'onda, con "Advice", nella quale dopo un inizio di chitarre distorte in stile shoegaze si assiste ad un cambiamento di forma per attestarsi su sonorità propriamente grunge.

Sembra voler riprendere fiato "Paul Saulnier" dopo una partenza così energica: con la successiva "Bad Brain Day" infatti si scende di tono per assumere fattezze quasi cantautorali. Il pezzo di per sé non è male, il problema è che sembra trovarsi lì per caso, quasi fosse un corpo estraneo rispetto all’omogeneità dell’intero lavoro.

Dopo questa parentesi soft si torna con un altro pezzo dal ritmo frenetico, "Limestone Radio", in cui i riff di chitarra creano vortici graffianti che deflagrano in un ritornello molto orecchiabile, forse troppo.

In "Friends Forever", le chitarre creano sonorità avvolgenti, a tratti epiche, ed anche qui il motivo centrale “friends forever, never end” coglie talmente nel segno che già dopo un paio di ascolti risulta difficile toglierselo dalla testa.

In More of the Same, dopo un inizio vorticoso in cui sembra di riascoltare un vecchio brano dei Dinosaur Jr, il pezzo rallenta per posizionarsi su atmosfere più dilatate e rarefatte.

Come avrete capito non siamo di fronte ad un capolavoro: l’album, seppur risulti ottimamente arrangiato e apprezzabile sotto diversi aspetti, non diventerà una pietra miliare del rock; detto questo, For Those Who Stay ha anche molti pregi e merita di essere scoperto soprattutto da parte di chi ha amato, e ama tuttora, artisti come Iggy Pop o gruppi come i Pavement, i Pixies oppure i Weezer (che stanno per tornare con un nuovo lavoro atteso per settembre).

Le potenzialità dunque ci sono, i due sanno il fatto loro riuscendo a trasmettere nei loro brani una carica notevole, manca però ancora qualcosa per farne un gruppo più importante: forse un pizzico di spavalderia e coraggio in più nella sperimentazione e nella ricercatezza dei suoni.

Riteniamo comunque che siano da tenere d'occhio per le prossime prove.

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