Ash
Kablammo!
Tutto sommato sembra piuttosto assurdo che gli Ash esistano e facciano musica da 23 anni. Pochissimi, quando erano allapice, nel boom di 1977 (1996), lavrebbero pronosticato. Una band di sbarbatelli che si infila nel momento giusto tra brit-pop e pop-punk da college in techicolor: quanto mai potrà durare? In effetti il trio nordirlandese ha rischiato più volte di inabissarsi, ma non lha mai fatto, tenendosi in vita, negli ultimi 8 anni, con la pubblicazione alfabetica di svariati singoli di qualità discutibile (poi raccolti in A-Z Series, 2010), rispettando le dichiarazioni post-Twilight of the Innocents (2007) di non pubblicare più dischi. E invece.
Lesplosione evocata nel titolo di questo "Kablammo!" non è proprio così rumorosa: in pochi si accorgeranno di questo album, il sesto della band, ma la marginalità, in fondo, rende simpatici. La realtà è che gli Ash sono ormai un gruppo che suona un onesto power pop, e che, trovando la produzione giusta, può persino dire la sua in un frangente in cui il rock 90, nella sua nuda incarnazione da power trio, fa spesso capolino sulle pagine delle webzine indie. Chitarra, basso, batteria, voce e davvero nientaltro. I tempi di Goldfinger o Girl From Mars sono distanti, ma qualche singolo potente Tim Wheeler e compagni riescono ancora a metterlo a segno, puntando tutto sulla sfacciataggine melodica (Cocoon, Dispatch) o sul tiro di un riff azzeccato (Lets Ride, Free).
Se dovessi dire, dopo 1977, qual è la cosa migliore degli Ash, a parte la gloriosa A Life Less Ordinary, direi probabilmente Trailer, che è lep con cui debuttarono diciassettenni nel 1994. Cerano cose come questa o come questa. Alt rock da college americano 90 che a me continua a piacere assai. Di inglese nulla (e infatti NME lo stroncò impietosamente: 4). Ecco, qualcosa rimane, qua, in una versione, sì, adult-college-rock, che è un ossimoro, ovviamente, ma va bene lo stesso, in pezzi come Machinery, Hedonism o Shutdown, diretti e privi di fronzoli. Peccato che Wheeler cada, al solito, nelle sue immancabili ballate pomiciose (Moondust e For Eternity richiedono lo skip e poco altro), cui mai riuscirà evidentemente a rinunciare, e che mai gli hanno detto bene (forse solo Oh Yeah e qualche b-side) (perché, sì, laltra cosa migliore degli Ash sono i lati B: raccolti in Cosmic Debris nel 2002, mostrano una band più interessante di quanto si sia sempre detto, vd. questo o questo).
Il complesso non è male. Le band adolescenziali che rimangono fedeli a se stesse fanno tenerezza ma anche, sempre, qualcosa di più. Qualcosa che non capiamo e che non dispiace.
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