V Video

R Recensione

7/10

Born Ruffians

Say It

Presenza alquanto estranea in casa Warp, i Born Ruffians si confermano con il sophomoreSay It” una scheggia minore del rock indipendente canadese, capace però, meticciandosi con proposte art-rock d’Albione e ammiccando a una leggerezza melodica solo un poco scomposta e deviata, di scrivere pezzi interessanti e di farsi riascoltare con piacere. In questo secondo lavoro, direi, più che nel debutto (“Red, Yellow & Blue”, 2008), dove il trio di Toronto soffriva ancora di crisi di identità giovanile.

Rispetto a quel disco, dunque, spariscono i residui country-folk da probabile infatuazione adolescenziale per i singer songwriters di casa (lui, soprattutto, Neil il Giovane), mentre prende corpo un’attitudine angolosa e un poco sconnessa, fatta di chitarre irrequiete e di melodie ammucchiate, vocalizzi teatrali e sezione ritmica incidentata. Retaggio da sindrome della canadian-scene, sicuro. Ma anche, come si diceva, attrazione verso un certo rock detritico – di classe, però – dagli States (chessò, Modest Mouse) e dal vecchio continente (anche i primi Futureheads nei pezzi più spediti). Di classe, dico, perché la fedeltà qui è alta, in barba al lo-fi spinto dei cugini yankee: si guarda di più alla radio, insomma, e non senza speranze di raggiungerla (sono nati ruffiani, d’altronde...).

Ché un pezzo come “Oh Man”, per dirne uno, con Luke LaLonde a ricamare melodie impertinenti in pieno stile istrionico, Mitch Derosier a insistere sui tom (Wild Beasts, e molto) e una chitarra sbarazzina, soprattutto in certi arpeggi tutti brio e spasso, è un bel toccasana pop. Dei canadesi, infatti, si cestina qualsiasi nevrosi di natura psicotica, prendendo soltanto il lato giocoso, pure un po’ freak, il carattere spumeggiante, vitale: il disco scorre via di tirate sparksiane (“Retard Canard”, “The Ballad Of Moose Bruce”, che batte sul basso martellante e sugli urletti in falsetto stile Russell Mael che è un piacere), di rallentamenti catchy venati di scazzo strokesiano (“Sole Brother”, “At Home Now”), di divertenti spattacolini arty improvvisati su cimeli di revival wave britannica (“What To Say”, “Nova Leigh”), e lascia annoiati solo per piccolissimi tratti (“Higher And Higher”, “Come Back”).

Ne esce davvero un «hit record, but in the most genuine way», come loro stessi hanno dichiarato. Niente che passerà alla storia, chiaramente. Ma senz’altro un disco godibile che potrà riemergere dal magma canadese ‘00 (e a ‘sto punto anche ‘10) con un suo perché.

V Voti

Voto degli utenti: 6,3/10 in media su 3 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5

C Commenti

C'è un commento. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

fabfabfab alle 15:14 del 27 maggio 2010 ha scritto:

Ascolterò, ma per ora copertina-schifezz n°1.