R Recensione

7/10

Dolorean

You Can’t Win

I Dolorean vengono da Silverton, Oregon, ma sono ormai da anni parte integrante della scena colta e letterata di Portland. Quella, per capirsi, che ha come fiori all’occhiello gli ormai celebri Decemberists. Vicini geograficamente, i Dolorean distano però musicalmente anni luce dal gruppo di Colin Meloy: il loro è un rock melanconico e docile, dalle forti venature folk e country, sui solchi dell’Americana già battuta da tanti country rockers alternativi e cantautori, avvicendatisi negli anni a raccontare storie di sconfitte e di rassegnazione.

Una rassegnazione che traspare fin dal titolo, quel You Can’t Win ripetuto come un mantra nell’omonima traccia iniziale del disco e che avvolge col suo alone impalpabile l’intero disco, a rallentarne e strascicarne il passo, incrinarne la voce, rivestirne l’anima con colori seppia. Soffia una malinconia agrodolce, uno spleen crepuscolare, qua dentro, che riesce a far brillare, paradossalmente, un disco che pure, musicalmente, non fa altro che seguire la tradizione dei grandi cantori del rock dall’aroma country: Neil Young, la Band, i R.e.m. più soffusi, le mille stelle e stelline dello slowcore.

E pure, probabilmente, ci sorprenderemo spesso a scaldarci con il dolce incedere del piano di Winter Wrens o con le spazzole che accarezzano delicatamente Buffalo Gal, ad abbeverarci presso il country dall’animo gospel di What One Bottle Can Do e di 33559 North, a passeggiare in punta di piedi insieme al gruppo sulle scarne e dolci note di My Still Life, quando i nomi caldi della stagione, finiti i saldi delle riviste di settore, saranno dimenticati in soffitta ad impolverarsi e sentiremo il bisogno di qualcosa che suoni caldo e vero, nel suo procedere etereo e corrucciato lungo le cicatrici profonde scavate, lungo il suo passaggio, dal tempo.

V Voti

Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 2 voti.
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rubens 7/10
REBBY 6/10

C Commenti

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DonJunio alle 21:12 del 23 febbraio 2007 ha scritto:

portland

eh si portland è una gran bella città , ovviamente oscurata dalla vicina e fatal seattle, ma dalle cui viscere vennero fuori due artisti assolutamente geniali e sofrtunati quali Greg Sage e Elliott Smith. Metropoli tentacolare e spettrale, come fotografato da Gus Van Sant in "My Own private Idaho", di cui sarebbe stata perfetta colonna sonora il primo album del buon Elliott. Ciò detto, questi li conosco appena, mi sembrano discreti continuatori di una tradizione significativa. ciao