Wilco
Yankee Hotel Foxtrot
A volte, l'immagine è tutto. Prendete l'immagine che campeggia sulla copertina di "Yankee Hotel Foxtrot", capolavoro assoluto di Jeff Tweedy, della canzone d'autore targata nuovo millennio e di chissà quante altre cose ancora: le Torri, memori della recente tragedia, rappresentano forse il casus belli per una riflessione universale, il simbolo del dolore insormontabile e tragico che accompagna ogni tragedia umana. "Don't sell your dreams", cantava alcuni lustri fa l'immenso Mark Stewart, leader del Pop Group, e Jeff sembra voler aderire a questa chiamata alle armi, rivolta a tutti i sognatori del mondo, a tutti coloro che non vogliono arrendersi prima di aver combattutto, non ancora per lo meno.
"Yankee Hotel Foxtrot", in fondo, altro non è se un'austera ed amara riflessione intorno a tematiche tanto alte e complesse, che riesce tuttavia a spaziare con eleganza sino a problemi maggiormente legati al vissuto personale dell'autore; riflessione amara dicevamo, eppur vivida di speranza, forte della volontà ferrea di non piegarsi alle brutalità che la vita, a volte, sembra imporre senza conceder possibilità di replica.
"Yankee Hotel Foxtrot" dipinge spazi nuovi, apre nuove strade per lo sviluppo della canzone d'autore, traccia un solco ben definito ed al contempo già delinea nuove vie, mille variazioni sul tema improvvisamente divenute possibili, vive, presenti.
Questo approccio rivoluzionario ha coordinate precise, porta nomi e cognomi precisi: l'anima da cantautore di Jeff, ispirtatissimo come forse mai nella sua carriera, incontra il genio iconoclasta e visionario di James Bernard O'Rourke, già membro di una fra le formazioni cardine degli anni '90 (i mai troppo celebrati Gastr del Sol), nonchè autore in proprio di numerosi lavori di grande pregio.
L'incontro fra queste due anime, apparentemente distanti ed inconciliabili, è il vero punto di forza dell'album, la verà novita che ne caratterizza la cifra stilistica: l'eccentrico sperimetalismo di O'Rourke si stempera ed ammorbidisce infatti in composizioni di estrema eleganza e classicità, coniando un nuovo linguaggio per tutta la musica alternativa.
Sintomatica di questo personale corso è la bellissima "I'm trying to break your heart", in cui l'elegante campata melodica viene sommersa con provocatorie dissonanze e timbriche surreali, legate ad una scrittura contesa fra musica d'ambiente e psichedelia. Impossibile non citare, poi, le squisitezze melodiche di "Kamera", "Jesus Etc...", "War on War" e "Radio Cure", che regalano spunti compositivi di prim'ordine prima di annegare in un chaos che stravolge lo sviluppo ordinario dei pezzi con rumori, divagazioni spaziali, paesaggi sonori inquieti e dolenti che sulla carta non potrebbero apparire maggiormente stridenti, rispetto ad un contesto country, e che invece risultano irrinunciabili ed impeccabili, donando linfa vitale ed un tocco sinistro ad ogni pezzo.
Il capolavoro nel capolavoro è però, con ogni probabilità, "Ashes of American Flags", un sunto del linguaggio dei Wilco ove Tweedy canta secondo modalità nobili la tragedia delle Twin Towers. Notevole è anche "Heavy Metal Drummer", pezzo inusualmente scanzonato e malinconico che racconta delle spensierate estati adolescienziali dell'autore.
Il lavoro successivo, "A Ghost is born", sposterà ulteriormente la linea di confine, regalando pezzi caratterizzati da una vocalità mesta se non spettrale, accompagnati da paesaggi sonori oscuri sempre più distanti del quieto country degli esordi. Ma l'impeccabile equilibrio di "Yankee Hotel Foxtrot" resterà inarrivabile.
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