Ambrose Akinmusire
The Imagined Savior is Far Easier to Paint
The Imagined Savior is Far Easier to Paint, ovvero il jazz come andrebbe concepito e suonato nel 2014.
Né più, né meno, oserei dire.
Tre anni fa Ambrose mi ha svegliato da sogni ampi e confusi, strattonandomi mentre fissavo il soffitto della mia stanza, aspettando qualcosa.
E come lha fatto: When The Heart Emerges Glistening è fra i dischi jazz old-school (non solo, perdonate la banalizzazione) più brillanti e dirompenti dellera moderna. Il giovane trombettista, nelloccasione, ma sfoderato non solo una competenza tecnica da far cadere i capelli, ma anche una fantasia corposa e capacità narrative importanti. Il suo è un suono denso, a geometrie variabili. Pur se chiaramente debitore della tradizione, molto più dei surreali schizzi di pittura di Colin Stetson o della lingua grassa e a briglia sciolta dei Mostly Other People Do The Killing, non annoia e non delude.
Ambrose ha senso della misura, ma ci mette anche ventricoli e lombi, quando imbocca il suo ottone.
Tre anni di ricerca lo hanno portato dalle parti di un post-bop multiforme che sfrutta con decisione e con saggezza lelemento canoro, e che mette in mostra capacità immaginifiche e "visuali" più marcate: in sostanza, The Imagine Savior is Far Easier to Paint non è solo un saggio di abilità strumentale, una successione ordinata di riffs, accordi e atmosfere, ma consta in larga parte di qualcosa che assomiglia a una vera e propria canzone.
Al suo fianco, ci sono sempre strumentisti di spessore: allottimo tenorsassofonista Walter Smith, virtuoso messo in luce già tre anni orsono, si aggiungono Charles Altura alla chitarra (che aggiunge un tocco latino a diversi brani, muovendosi felpato e aggraziato), il bassista Harish Ravaghan e il batterista (poco appariscente, eppure impeccabile ed essenziale, in grado di spaziare dalle spirali del jazz a un approccio più pesante e latamente funk-rock) Justin Brown.
Alla voce, si alternano Becca Stevens, Cold Pecks e Theo Bleckman.
La band costruisce un sound trasversale, che arricchisce la corposa base post-bop di sfumature avant-pop, soli di chitarra eleganti, varianti in chiave ambientale e/o modern classical.
Ambrose ha ampliato gli orizzonti di riferimento, sino a rinchiudere allinterno del perimetro del jazz arie e componenti di provenienza eclettica.
Fra le canzoni più vitali e oblique è doveroso citare la movimentata As We Fight, che si appoggia su duetti ariosi degli strumenti a fiato, e quindi porta la voce di Becca Stevens in primo piano. La melodia si dipana lenta e non è propriamente easy, ma funziona alle perfezione.
I quasi 8 minuti di Vartha sono campo elettivo per gli effetti di Ambrose con i tre tasti: raramente il sottoscritto attribuisce un peso vero alle capacità strumentali, ma in questo brano tutti i musicisti danno letteralmente il meglio di sé, e Ambrose brilla per la lucidità e la compostezza di un discorso che non per questo diventa prevedibile. Il californiano conosce armonia e concetti di corredo in modo certosino, ma non ne diventa schiavo: nel suo caso, la tecnica superiore è mezzo e non fine, e per questo mi costringe a unammirazione convinta.
Memo avvolge con il solo di tromba e sassofono tenore, che rimasticano il tema di G. Learson in direzioni diverse, senza mai perdere il filo. Le ascendenze post-bop tuttologhe di Ambrose qui si mostrano in tutta la loro chiarezza: le brevi successioni di note che si mangiano luna con laltra alternate a passaggi più pensosi, acuti e sovracuti che non perdono mai lequilibrio, e poi una chitarra che eccelle in numeri dalta scuola e si addossa il compito di garantire una certa alternanza timbrica.
Il brano più sorprendente ed emozionante è latipico The Beauty of Dissolving Portraits, che allunga e dissolve le note della tromba, mentre un flauto le fa compagnia e allorizzonte si illuminano le montagne e gli oceani che hanno fatto innamorare Brian Eno e tutta la folta schiera di fedeli. Se cerchiamo il capolavoro del disco, forse labbiamo trovato in questo brano, a metà strada fra ambient, il Miles Davis più visionario e certo avant-jazz (Supersilent, gli Spring Heel Jack più vaporosi).
Spiazza anche Rollcall for Those Absent, perché Ambrose esibisce il pugno chiuso, e srotola lelenco dei fratelli neri finiti nelle mani sbagliate (spesso si tratta di mani di Stato). E mai più tornati a casa: Ambrose sarà un bravo ragazzo che ha studiato musica fino a fondere pupille e timpani, ma non si tira indietro quando si tratta di far sentire la propria voce.
In sostanza, siamo al cospetto di 79 minuti che richiedono unattenzione devota, ma che difficilmente potranno deludere chi ama il genere.
Fra i dischi dellanno, di default oserei dire, visto che ci troviamo al cospetto di uno fra i pochi geni autentici dellera contemporanea.
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