Antonio Raia
Asylum
Un uomo. Un sassofono tenore. Il refettorio di un orfanotrofio in disuso. Un fonico. Dieci microfoni. Il suono (la vibrazione), lo spazio (il contenitore). Un cuore che pulsa. Unanima lacerata. Lunità spirituale del jazz che verrà e, chissà, lombra di uno stornello. Bianco, improvviso: unesplosione di luce, o forse una tempesta. Smarrirsi nei pulviscoli che danzano. Ceneri e lapilli, assi di legno e marosi. Due piedi che vagano, due occhi che piangono, mille voci silenziate. Nulla se non la propria umanità, con fatica. Homines sumus, humani nihil a nobis alienum putamus. A riveder le stelle, o forse le terre, promesse e negate.
Nomi, cifre e circostanze, di fronte al terzo disco del giovane napoletano Antonio Raia (in forza, sino a poco tempo fa, nei Sudoku Killer di Caterina Palazzi), perdono dimportanza e di consistenza. Su tutto parla unepigrafe, sintesi politica di senso dellintero Asylum: Non cè albero che voglia male al giardino / Non cè figlio che non abbia avuto utero / Non cè uomo che non possa farsi asilo. E un brano, The Lights Inside Scream, che immobilizza e soverchia con lo sconquasso emotivo di una Lonely Woman degli ultimi e degli obliati: dilatati fraseggi bop che galleggiano nel vuoto, si allungano, si stirano, stridono, urlano, rimbombano. Sono effettivamente i fantasmi di chi non ha voce né identità ad infestare la virulenta performance braxtoniana di The Sound Of Voices Mingled With Scraps, ad accalcarsi contro le voragini ambientali di Follow The Trail e a far deragliare, tra pause e respiri a pieni polmoni, larticolata melodia dello standard Misty. Per il bene della ricezione internazionale si dovrebbe dire che lo sguardo di Raia è puntato in direzione del Colin Stetson di To See More Light (specie nello straniante sirtaki di The Children In The Yard), ma la verità è che lancoraggio linguistico rimane profondamente mediterraneo, e non solo per il whistling della sanguigna Fire On Heart o la scelta di rivoltare come un calzino due standard partenopei (Torna A Surriento viene frantumata in brevi segmenti non consequenziali, Dicitencello Vuje è un singhiozzo dello spirito): è, forse, il calore del tocco, lintensità della sua rappresentazione, dal profilo melodico intenso e concreto (To Giulia) ma allo stesso tempo capace di una radicale astrazione concettuale (la conclusiva lallazione di Lullaby).
Shibboleth di chi resiste e com-patisce. Una lezione per le anime inaridite. È bene che Asylum arrivi alle orecchie di quante più persone possibili.
Tweet