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R Recensione

8/10

Colin Stetson

New History Warfare Vol. 2: Judges

Chi l'ha detto che il presente è proprietà esclusiva del consumatore?

Chi l'ha detto che la musica è soltanto un dolce farcito, da gustare per pochi minuti prima di passare al “piacere” successivo?

Un'idea: ce lo dicono da tempo MTV e tutti gli altri spenti portavoce dello “sballiamoci e chissenefrega”, quelle poche volte che si ricordano di trasmettere un video musicale.

Un semplice intrattenimento, e nella migliore delle ipotesi una lunga starway per il successo, ma nient'altro: questo è il ruolo che l'universo noto (escludendo quindi noi barbutissimi “indie”) riconosce alla musica contemporanea.

Di là, quindi, un'infinità di persone che non vede nella nostra passione preferita altro che una bibita da consumare il più in fretta possibile. Da questa parte, una stretta minoranza di ottusi che non vuole piegarsi alla logica del più forte. In mezzo, un'oceano incolmabile di ignoranza, occhiatacce e sospetti.

Ecco, visto l'equilibrio delle forze in campo, ogni tanto è bello prendersi una rivincita e vedere che un disco destinato per sua stessa volontà ad una cerchia ristretta di fedelissimi incontra un discreto apprezzamento (quantomeno internettiano: concedetemi questa vittoria di Pirro).

Eppure, è esattamente ciò che è capitato a Colin Stetson, giovane musicista jazz (con un curriculum di collaborazioni già importante, e già autore di un paio di lavoro significativi) che si cimenta con uno strumento alquanto inusuale anche per il genere (il sassofono basso in sib), forzandone sino ai limiti conosciuti la capacità espressiva; portandolo essenzialmente dalle parti dell'avanguardia minimalista più cerebrale e rumorosa (da Glenn Branca in avanti), e provando a coniare un linguaggio nuovo che possa smuovere le acque tanto dell'uno quanto dell'altro territoro, da troppo tempo ripiegate su stili noti e prive di coraggio (salvo pochi nomi, e salva in ogni caso una piccola rinascita targata 2011, anno che ha dato alla luce più di un disco jazz originale e decisamente interessante, almeno per il sottoscritto).

Tutto merito di teniche strumentali e produttive assolutamente peculiari: la c.d “respirazione circolare” conferisce una dimensione quasi “fisica” allo strumento (già di per sé capace di evocare le inflessioni della voce umana), quasi fosse una parte del corpo che Colin può controllare in pieno. Quasi che vi fosse una relazione simultanea e priva di sbavature fra volontà e risultato, fra gesto e suono; quasi il suono provenisse dagli antri più oscuri del cervello di Colin e non da uno strumento a fiato.

E poi la produzione, dicevamo: Colin abusa di microfoni (ben 24) collocati in posizione strategica per realizzare una sorta d “suono totalizzante” e ambivalente, in grado di sottoporre l'ascoltatore a una sorta di seduta di elettroshock pur nella sua (apparente) glacialità. Anche qui, come nel capolavoro di Matana Roberts (pur tanto diverso, ma sempre e non a caso targato Constellation) si avverte l'eco del post-rock e dei suoi spazi siderali ed eterei, dei suoi convulsi saliscendi, della sua sfacciata cerebralità, che nulla concede alle emozioni “rock” più nitide e dirette (la lezione di gente come GoodSpeed You! Black Emperor è molto evidente). Ma la produzione è soprattutto il musicista d'avangurdia Ben Frost che si cimenta con i mixer per cavare una sonorità tanto profonda, che gioca con frequenze gravissime, quanto sospesa ed impalpabile.

The Stars in His Head” è un'ode all'enormità dello spazio resa ancor più evocativa da timide percussioni “tribali” sullo sfondo. Pare di sentire Jon Hassell in versione dark, oppure un oscuro remix al basso di qualche solo dell'ultimo John Coltrane, quello di “Interstellar Space” per intenderci.

“All The Day I've Missed You” è musica ambient per sassofono, così come l'impetuosa, conclusiva “In Love and in Justice”.

Mentre “From No Part of Me I Could Sommon a Voice”, in un mondo normale, non potrebbe ricavarsi da un solo strumento: invece pare sia proprio così. E il pezzo incanta con le sue voci acute e minimali, che si fondono in una circolarità timida di marca ambient.

Stetson è musicista estremamente eclettico: “Lord I Just Keep From Crying Sometimes”, la più improbabile e incredibile rilettura di un classico blues mai messa su disco, è impreziosita dalla voce sommessa di Shara Worden che lentamente si prende la scena, mentre sullo sfondo il sassofono sonda profondità sconosciute alla mente umana, con vibrazioni su frequenze bassissime che evocano la migliore elettronica così come il minimalismo più viscerale.

Un'altra importante collaborazione si registra con “A Dream of Water”, collage di spunti sonori liberi che delineano una tavolozza sonora ricca di timbri e colori, mentre Laurie Anderson recita con tono pacato ma deciso.

Red Horse” presenta invece una scansione ritmica più regolare e dura, che pare mimare l'incedere maestoso del cavallo evocato dal titolo, anche solo perchè qui la tecnica della respirazione circolare (sfruttata in funzione ritmica) pare raggiungere i suoi risultati migliori, movimentata dagli squarci “noise” del sassofono.

Davvero incredibile la varietà di questo lavoro. Per la verità, non mancano brevissimi momenti leggermente “fuori tiro”, e più in generale entrare nell'ottica di Colin non è propriamente facilissimo per chi non mastichi da tempo generi comeil jazz più evoluto, il noise-rock e l'avanguardia minimalista: ma proprio per questo, il notevole successo dell'opera è ancora più importante nell'ottica della “battaglia” che ha ispirato la mia breve introduzione.

E allora, gioiamo di Colin Stetson e di quello che è riuscito a combinare con una musica difficilmente intellegibile ai non iniziati, eppure molto viva, ricca di sfumature e a suo modo emozionante.

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Voto degli utenti: 8,2/10 in media su 9 voti.
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gull 8/10
redbar 8/10

C Commenti

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gull (ha votato 8 questo disco) alle 12:54 del 29 settembre 2011 ha scritto:

Sorprendente e prodigioso questo disco.

overwulva (ha votato 10 questo disco) alle 1:32 del 4 maggio 2012 ha scritto:

Anno 2011, l'anno di James Blake e perché mai quando ci sono album così perfetti in giro?