Anthony Braxton
For Alto
Anthony Braxton? Cazzarola! Recensire il musicista, pensatore e compositore jazz d'avanguardia par excellence mi mette un po' di ansia da prestazione. Ci provo lo stesso, cercando di tenermi alla larga da dissertazioni troppo ardite dal punto di vista teorico, dato che le mie sensibili orecchie non sono in grado di reggere questo peso.
For Alto è un disco impressionante ed epocale. Siamo all'alba degli anni '70, la bufera free ha già raccolto i suoi frutti più saporiti, la musica (jazz, e non solo) è alla ricerca del nuovo.
Braxton salta nel vuoto con For Alto, primissima escursione della musica libera nei territori teorizzati dai massimi musicisti dell'avanguardia bianca, da John Cage a Stockhausen, e forse dovrei citare anche i maestri del minimalismo. Il resto del mondo è lasciato a distanze siderali. Il salto di Braxton è una discesa senza fine, una caduta rapidissima verso un concettto spaventoso, anche perché (bestemmia delle bestemmie) qui non si vedono quartetti, quintetti, neppure un misero trio, non parliamo delle roboanti orchestre dello swing. C'è solo un sassofono alto, rinchiuso da qualche parte in una stanza buia, che provoca la musica, l'essenza stessa della musica. Ne forza il linguaggio, la sintassi, i fini.
For Alto è un disco insostenibile: il solismo dei grandi improvvisatori jazz viene esacerbato sino allo stremo, trasformato in un soffio di vento gelido, messo sotto vuoto. Il jazz non era mai stato tanto vicino al puro concetto: si cita sempre la celebre alea di John Cage, ma il paragone in questo caso viene abbastanza naturale.
Braxton teorizza la fusione fra la musica afroamericana più estrema (le dissonanze strategiche di Coleman, il primitivismo futurista di Ayler e del Coltrane più maturo, il radicalismo virulento di Cecil Taylor) e la musica europea/occidentale più all'avanguardia: cerebralità allo stato puro, l'assenza del corpo, le note centellinate, l'atmosfera paralizzata.
La sua musica suona così al contempo fisica e impalpabile, suadente e granitica. Free music, cacofonia ed esperimenti oltraggosi si misurano l'uno con l'altro fino a ributtare note che aprirebbero il cielo in due, musica altamente psicologica, forse anche pericolosa.
La passione viscerale di Anthony per i diagrammi e per la matematica in genere è rivelata dalle immagini con cui farcisce le confezioni dei suoi dischi, e riflette il suo approccio al sax alto: raziocinante e calcolatissimo, eppure quasi completamente improvvisato. L'improvvisazione viene incanalata dentro schemi concettuali rigorosi ed estremi, capire un lavoro simile è difficile. Richiede devozione, passione sfrenata per i suoni più esoterici e difficili. Tanto coraggio.
Braxton nel 1971 profetizza una sorta di new-age per robocop innamorati del jazz libero: ho ripensato a lui dopo aver ascoltato Colin Stetson, pur con tutte le divergenze del caso, e forse non ho sbagliato.
I brani sono dedicati a personaggi di spicco: To Pianist Cecil Taylor si sgola alla ricerca della furia ritmica del pianista, giostra all'infinito intorno a 3-4 note e non concede respiro, brutale e assassina. To Composer John Cage (ok, il rimando era sin troppo semplice) suona come una versione disumanizzata del John Coltrane più visionario, un glissando ingarbugliato che porta allo stordimento. Dedicated To Ann And Peter Allen (cantautore australiano) è musica ambient ante litteram, scorticata fino all'osso, snervante, apparentemente priva di coerenza. Dedicated To Susan Axelrod si merita quello che sembra essere il momento più musicale del disco, perché la successione di note mostra un senso più coeso, l'energia prorompe più nitida.
La conclusiva, lunghissima To Multi-strumentist Leroy Jenkins è un racconto sconnesso e a-jazz, le complesse relazioni algebriche che governano i rapporti fra le singole note rendono impossibile parlare di melodia. Questa musica non vuole toccarti, sembra privata di ogni emozione: eppure rimane un distillato di umanità sconfinata.
Chi non possiede curiosità e coraggio in dosi industriali è comunque pregato di risparmiarsi la tortura.
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