John Zorn
On Leaves Of Grass
La terza avventura discografica del Nova Express Quartet, dopo gli straordinari Nova Express, 2011, e Dreamachines, 2013 (non conteremo come tale At The Gates Of Paradise, anchesso del 2011), assume carattere controverso ancor prima di palesarsi musicalmente. Lo slittamento è manifesto ed esplicativo: dal cantore della distruzione egotica, il Barabba della beat generation William Burroughs, allaedo dellindividualismo americano Walt Whitman. Dal lurido smarrimento prosastico alla magniloquente sovrabbondanza poetica. Dal pasto nudo alla splendente pienezza. Necessario, come condizione preliminare, che il quartetto di ferro aggiustasse tiro e portata della propria proposta. Dunque, come stupirsi se, invece di una Chemical Garden o una Psychic Conspirators, On Leaves Of Grass si apre piuttosto con una Whispers Of Heavenly Death che, dissoltasi subitamente la foschia cinematica, suona come un blando arrangiamento di Between Two Worlds da parte di The Dreamers (quindi, con un Medeski dal tocco Jamie Saft)? Alla marcata ispirazione letteraria segue una coerente impostazione musicale.
La lingua di Whitman per chi ha avuto la fortuna di analizzarla da vicino tracima di inventiva: periodi lunghi e complessi si segmentano su di una persona loquens panteistica ed innovativa, capace di unire la subliminale spinta erotica di un apparato iconografico scrupolosamente selezionato ad uninfallibile precisione semantica. La sublime sconfinatezza degli spazi di frontiera, unita ad una ferma self consciousness, al riconoscimento della propria posizione: tutta lAmerica si riscopre nel cittadino democratico Whitman. È quanto vuole suggerire, in tempi grami e per il collettivo e per la singolarità, la scrittura di Zorn, a tal proposito eccezionalmente parlante pur se, as usual, interamente strumentale. Nel cromatismo adamantino e nella levità tonale Medeski, Wollesen, Dunn e Baron rispecchiano in primis la loro condizione di ebrei newyorchesi, self made musicians ed espressione del vivi e lascia vivere: ogni contrasto interno viene appianato e sacrificato ad una logica superiore, come quando The Body Electric, anziché chiudersi ulteriormente in un criptico riccio, esce a danzare uno sbarazzino jive in 6/8, e Mystic Ciphers carica di innaturale tensione, non sfogata, il vibrafono e lelettronica.
Quanto rimane incluso il conclusivo quarto dora di America, vera e propria song of themselves che, sulle onde fruscianti di un composito andante per pianoforte e xilofono, quasi rilegge, per blocchi tematici di file cards, la vecchia The Magus non ferisce, né sorprende. Si deve anzi ringraziare la squisita fattura pop di Song Of The Open Road (ottimo brano da library jazz che, strano a dirsi, godrebbe di unassicurata copertura radiofonica, qualora considerato) e la romance stampo Alhambra di Sea Drift se lattenzione, diversamente da altre occasioni, rimane vigile e reattiva. La sola Portal cerca di scostarsi dal canovaccio, calandosi nei panni della guastafeste dodecafonica di turno, ma la prova non è brillante come al solito: per converso, troppa piacevolezza uccide, e le morbidezze di Song At Sunset anche dopo molti ascolti non possono non suonare stucchevoli, smarrite nel cercare la melodia perfetta, magari condotta nel miglior modo possibile.
The earth that is sufficient, / I do not want the constellations any nearer, / I know they are very well where they are / I know they suffice for those who belong to them, scrive Whitman in Poem of The Road. Semplice, concreto, comprensibile: come la materia di cui è fatto On Leaves Of Grass.
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