In The Basement - 1
Appuntamento mensile, d’ora in poi, con un po’ di stimoli dai bassifondi, dalle etichette ‘underground’ più dinamiche, dai blog d’oltreoceano, dai sottoboschi sparsi un po’ ovunque lì fuori, anche sotto i cementi. Cosa pulsa, cosa ferve nei quartieri popolari, nei garage e nelle camerette. E magari sta per uscire all’aria aperta. Questa prima serie di band è reclusa nelle cantine dell’indie-pop più scuro. Quando i seminterrati odorano di violette.
°°° Gold Zebra
Visto che il Canada è ovunque, partiamo da lì e dal duo di Montreal Gold Zebra. Il loro Ep di sei tracce si chiama “Debut” ed è stato pubblicato in 50 copie solo su cassetta. Si salpa da un pop disossato à la xx (l’“Intro” a questo Ep sembra l’“Intro” a quel disco) per arrivare a linee più dure e a rigidità spiccatamente italo ’80, come nella robotica “Trans Desert” (vicina al revival italo-disco francese e alle cose della Valerie e dell’Italians Do It Better – vd. i Chromatics). L’ambito, comunque, è quello di un electro-pop in bianco e nero volutamente scontroso (“Six Years”), più smussato dove chitarre Young Marble Giants attenuano il peso dei beat (“Useless Night Pt. 1”, dove però si balla eccome). La voce femminile con accento francese della vocalist Julie è algida e sensuale assieme. Deliziosa “Back In The Dust” (dove i Lali Puna non si ripetono più), che vale da sola il prezzo del biglietto. Qui il loro Ep.
°°° Still Corners
Parlando di zebre: gli Still Corners hanno tutta l’aria di essere la risposta inglese ai Beach House. Dopo l’Ep “Remember Pepper?” del 2009 (i cremonesi si ascoltino “Cremona”, che potrebbe ben intonarsi a certi giorni nebbiosi della loro città) hanno perso ancora più corpo, diventando, nei singoli successivi, vapore inebriante e celestialità con organo. Dream-pop da cameretta per estati che scivolano via lungo i canali (“Endless Summer”), visione astratta con acustica (“Wish”), ballate perdute con una voce eterea che sembra vagolare nell’aria come i pollini in primavera, disillusioni su un ritmo&riff vagamente The Roots (“Don’t Fall In Love”). Ma come si fa a non innamorarsene? Non ce la si fa.
A proposito di Cremona. Assurdo, ma anche il duo greco Keep Shelly In Athens l’ha immortalata in una canzone. “Cremona Memories” mostra tutto l’armamentario che questa accoppiata pronta all’hype (picci picci spinge già) ha da offrire: viaggi lounge molto primi-‘90, strusci per località di mare al tramonto, glo-fi aggiornato all’euro-dance più soft, intimismo balearic. E, ancora: spire di tastiere morbidissime da chill-out intontito con l’alba che spunta (“A Tear In My I”: eccellente l’ingresso del sax), downtempo glassati di esotica (“Fokionos Negri Street”) e splendidi riverberi eighties (“Running Out Of You”, la cui esplosione a metà pezzo è folgorante). Il loro primo imminente Ep, “In Love With Dusk”, sfoggia nella copertina alcune palme incorniciate in un cerchio: più à la page di così... L’impressione, in ogni caso, è che Shelly uscirà presto da Atene.
Più muscolosi gli altrettanto schivi Trailer Trash Tracys. Lui/lei inglesi che, dopo un singolo per la No Pain In Pop nel settembre 2009 bruciato in appena due mesi, si sono rinchiusi nella loro cameretta londinese per lavorare al disco e non ne sono ancora usciti (qualsiasi sospetto malizioso è a questo punto lecito). Jimmy Lee (lui) e Susanne Aztoria (lei) sembrano ossessionati da come far suonare i pezzi, e solo chi ha avuto la fortuna di vederli live in un paio di date con gli xx (te pareva) ha potuto constatare eventuali sviluppi da quanto registrato finora. Nell’attesa, ci rimane il piccolo capolavoro di “Candy Girl”: chitarra twang prepotentemente Twin Peaks, spazi vuoti, echi, rullante smisurato, voce distante e rivestita di scoramento provinciale. Il lato b, “You Wish You Were Red”, non è da meno, con il riverbero della grancassa che vibra in testa su una linea vocale dolcissima. Sicuro che quando l’album uscirà noi ci saremo. Sperando che esca.
°°° Sleep ∞ Over
Attraversamento oceanico veloce. Gli Sleep ∞ Over, poracci, sono stati ammassati nel calderone witch house solo perché hanno messo il simbolo di infinito nel loro nome, ma con Salem e compagnia stregonesca non ci azzeccano nulla. Certo, il loro sound intimistico non ha tinte vivaci. Sono vicinissimi, per atmosfere e languori sfatti, al chamber pop macchiato di retrò marroncino degli Still Corners: la voce di Sarah, in “Outer Limits”, traccia una melodia deliziosa, mentre la chitarra intreccia leggeri arpeggi che sembrano provenire da stanze remote. Roba da quell’America di backyards e taverne in legno con odore di vecchio addosso. E strati di tastiere spesse tre dita come polvere in banconi di motel semidiroccati (“La Rose”). Il singolo è sold out, anche (immagino) per la gustosa copertina.
°°° Waskerley Way
Verso queste tinte di indie-pop tendenti all’ipnosi (o all’ipnagogia tanto di moda) guarda anche Waskerley Way, da Newcastle. “Holly”, che dà nome al suo nuovo Ep, parte da suggestioni in stile sonata arrivando a dei Cocteau Twins neoclassici, mentre “Nocturne #2” disegna arabeschi bluastri da viaggio sottomarino sopra basi in stile Massive Attack di “Blue Lines” accelerati. Trippissimo, dreamy e pulviscolare anche il resto dell’Ep. Si parla di nuovissime generazioni, qua: di uno, per essere chiari, che nella pagina myspace può piazzare tra i propri modelli Washed Out. E difatti il suo primo Ep, “Cat Music”, è una versione made in Albione del chillwave, dotata di una sua conturbante cifra dark-provinciale. Il passo di “Cat Alert”, con quell’aria di Morrissey che canta Neon Indian (!), fila diritto nelle cose migliori del genere. Esplorazioni molto disparate ed eseguite col gusto del neofita curioso e appassionato, certo. Ma c’è sostanza.
Gente reattiva, insomma. Che è il minimo si possa dire di Sam Meringue, allievo prediletto di Ariel Pink, e protagonista con quasi una decina di moniker diversi di cambi d’abito spettacolari. I completi più riusciti, finora, sono stati quelli come Matrix Metals (hypnagogic-pop at its best) e Outer Limits Recordings (idem), e si trattava di mise sperimentali-shittose ben distanti dalle paillettes radiofoniche facili alle orecchie. Ma, toh: Outer Limits Recordings ha deciso di darsi al pop. E pare che si stia divertendo come un bimbo. I due nuovi 7 pollici freschi di stampa per la Olde English Spelling Bee propongono un Ariel Pink ancora più trash, con hook pop appiccicosissimi, arrangiamenti kitsch da spazzatura primi ‘80 e video di delirio fai-da-te con cui auto-sbeffeggiarsi ad libitum. “Julie” (hypna-Beatles!) e “Plastik Child”, irresistibili, stanno lì a dirlo, che prendersi sul serio è peccato.
°°° The New Lines
Visto che tutte le strade portano a New York, finiamo lì la prima perlustrazione. Attraverso un’etichetta digitale, la Beko, che da un paio di anni a questa parte pubblica sul suo sito singoli scaricabili aggratis di band più o meno adorabili. Ci sono passati Bathcrones, Million Young, Memoryhouse, Moscow Olympics, e pure i qui discettati The New Lines. Affine a un dream-pop sgusciante e psichedelico che mescola A Sunny Day In Glasgow (“Kings Civil Calendar Control”) e Deerhunter (“Windimir and the Gift of Death”), il sound della band è assieme sofisticato e easy-listening. Nelle ultime cose spariscono le insistenze sull’overdubbing e sulle rifrazioni vocali, con conseguente ripulitura delle melodie: si finisce tra Blur decadenti (“La Réciprocité”), The Clientele (“Law And Disorder”) e Belle And Sebastian (“The Fateful Exposition of Capt. Socko”), con il passo di un saltimbanco triste in una natura morta autunnale (la bellissima “A Marionette Reaches The Sea”). In attesa di qualche pubblicazione fisica, il loro myspace raccoglie una tale quantità di pezzi favolosi da chiedersi ‘ndo cazzo stiano i discografici. In the basement, anche loro?
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