V Video

R Recensione

7/10

Okkervil River

I Am Very Far

Da folk band sgangherata a big band. Anzi, «giant band», con le parole di Will Sheff. “I Am Very Far”, sesto disco degli Okkervil River, segna il tracciato di una parabola forse inevitabile, se si considerano il sostrato colto e ambizioso della band di Austin e la sua attitudine sempre più estroversa, ma comunque disorientante. La stessa categoria di folk, che nei primi tre dischi degli Okkervil trovava un’incarnazione traballante e poetica destinata a diventare modello per un decennio intero, sta loro stretta, ora: i tempi delle chitarre ebbre, delle stecche, del banjo rusticano e delle produzioni volutamente non pulite sono finiti. Nel bene e nel male, questo è l'album di una band diventata 'grande'.

Il disco è un lavoro riplasmato in studio nella sua parte maggiore. Le brevi sessioni di registrazione, avvenute in luoghi diversi e con differenti metodi, sono state poi manipolate da Sheff, con alterazioni e tagli spesso molto invasivi; le continue trasformazioni e riscritture in effetti si avvertono nella sontuosità maniacale degli arrangiamenti, sicché si perde in semplicità rispetto ai vecchi Okkervil, guadagnandone in eleganza e rifinitura. E, a tratti, epicità: “Rider” (Springsteen rivisited), “Wake and Be Fine” (l’apice, frenetica intensità), “We Need a Myth” (che parte su soli archi e finisce in un crescendo Arcade Fire) sono state suonate da due batteristi, due bassisti, sette chitarristi, più piano e archi a pioggia. Arena, insomma. E roba come la groovosaPiratess”, che pare un pezzo da "The Stage Names" con le tette rifatte (c’è pure, da 1’54’’, lo strappo di pagine di giornali stile "Neon Bible" nell’ascensore), potrebbe piacere alle radio fighe e ai locali in. Nessuna purezza inquinata, per carità: bellezza un po’ freddina, però.

Sono pezzi che si dispiegano in spettri sonori vertiginosi, con effetti nella registrazione di affollati cortei bandistici che strappano più l’applauso che l’emozione. E non sempre (“The Valley”, “White Shadow Waltz”) sono assistiti da una scrittura all’altezza, sicché possono scivolarci pure two-chords songs messe in ghingheri per mascherare la fiacca (“Your Past Life as a Blast”). Meglio, allora, i pezzi usciti dalle sessioni meno ossessive, e magari distese su spazi più sgombri e meno hi-fi: lo spettacolo notturno di “Hanging from a Hit”, col basso sonnacchioso, un piano scordato e fiati impigriti, vale gli Okkervil migliori (“A Stone” da “Black Sheep Boy”?); e così la vezzosa mid-balladLay of the Last Survivor” e l’extravagante “Show Yourself” fanno ancora capire perché questa band sia entrata tra le grandi dell’ultimo decennio.

Non è tra i dischi migliori degli Okkervil River, “I Am Very Far”, ma imprime quanto meno una sterzata rispetto ai due album precedenti, un po’ impiantati (“The Stand Ins”, soprattutto). È un disco onesto, a tratti buono (6,5, toh), che ha però il problema di vivere un paradosso: eseguito da una ‘huge band’, finisce spesso per insaccarsi nella prima persona (I Am) del direttore d’orchestra; in uno Sheff che ci perde a concentrarsi troppo sul ruolo del produttore. E che si spera torni, da così lontano, ad avvicinarsi un po'.

V Voti

Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 8 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5

C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

hiperwlt (ha votato 6 questo disco) alle 0:53 del 5 maggio 2011 ha scritto:

d'accordo su tutta la linea Francesco, ma abbasso il voto: in certi casi ("we need" a myth su tutte), non mi viene nemmeno da applaudire. non so, mi restituisce poche emozioni genuine, mi sembra tutto così iper prodotto e poco spontaneo; eppure, "wake and be fine" aveva illuso (magari non sulla magniloquenza della proposta), in un certo senso. cose migliori: "piratess" e " "show your self". comunque, mi tengo ancora stretti - addirittura?- gli ultimi due episodi; e questo lo si archivia a breve. 5 1/2

target, autore, alle 10:20 del 5 maggio 2011 ha scritto:

Sì, l'iper-produzione appesantisce il disco, poco da fare. Lo rende meno disponibile a farsi riascoltare. Secondo me era una sviluppo (questo da 'huge band' un po' infighettata) in un certo senso inevitabile (come lo è stato l'opera prog-rock dei Decemberists, per non andare distanti), e "I Am Very Far" è un lavoro che 'doveva' capitare. E nel quale gli Okkervil, dopo tutto, se la sono cavata. D'accordo con te, però, che le loro cose di valore stiano altrove. A freddi numeri, è 6,5. Solo "The Stand Ins" (a cui mancano i 2-3 numeri che qua ci sono) peggio.

abulafia (ha votato 8 questo disco) alle 16:27 del 21 maggio 2011 ha scritto:

E' un disco più "difficile" degli altri che può lasciare perplessi i fans di vecchia data, ma non lo definirei affatto tra i peggiori, anzi.

Diciamo che va ascoltato più volte e, soprattutto, va capito, e per capirlo bisogna capire l'atteggiamento di Sheff verso il mainstream.

Gli Okkervil sono da anni sul punto di fare il "salto" verso lo show busines che conta (e ce l'hanno menata per ben due dischi con la storia dello showbiz che fagogita gli artisti). Oggi hanno la possibilità di utilizzare una megaproduzione, di lasciare gli scomodi abiti della "mid level band" per librarsi nell'empireo del rock.

E loro che fanno? Ovviamente, non si mutano in un clone degli Arcade Fire, non tirano fuori una manciata di canzoni buone per riempire gli stadi. Licenziano invece un disco spigoloso, troppo "pieno", intimista (nel senso che la produzione è quasi tutto lavoro di Sheff, e non sempre il ragazzo lavora di cesello), stravagante e perennemente in bilico tra l'equilibrio e il pasticcio sonoro.

Solo che quel limite, a mio avviso, non lo superano mai.

"I am very far" sarà a tratti iperprodotto, pomposo, altezzoso e snob, ma ha alla base una indiscutibile purezza di intenti e, soprattutto, un songwriting cristallino. Sheff ci dice che, lui si, è ormai "very far": lontano dai vecchi fans, forse, ma sicuramente dal mercato mainstream di cui sopra, dal quale si è sottratto con un po' di altezzosa superiorità, ma con la classe del grande artista.

C'è in tutto il disco la tensione della cult band sul punto di trasformarsi in fenomeno planetario che frustra perennemente questa sua ambizione, che si impedisce di spiccare il volo appesantendosi di arrangiamenti.

Il talento di Sheff c'è sempre ed è più vivo che mai. Nel caos delle due batterie, delle tastiere, dei timpani e degli archi si distinguono le sue solite melodie e, soprattutto, i suoi testi che, come sempre, sono straordinari ("Slicked-back bloody black gunshot to the head … fallen in the valley of the rock'n'roll dead", guarda caso).

Certo, nel disco c'è qualche episodio trascurabile, ma canzoni come "The Valley", "Piratess" (che non è altro che nuova versione di "Murderess", già presente nello split-cd "Sham Wedding - Hoax Funeral" con gli Shearwater) e "We Need a Mith" col tempo e con gli ascolti entreranno a buon diritto nel cuore dei fans al pari di vecchie produzioni più "facili".

Il disco all'inizio disorienta un po' (anche io l'ho dovuto ascoltare e riscoltare un pochino), ma alla fine fa innamorare. Io gli darei un bell'otto pieno, fossi in voi gli darei fiducia.