R Recensione

7/10

Father Murphy

No Room For The Weak

Un titolo preso dai Joy Division (da “Day of the Lords”), una cover di Leonard Cohen (“There is a War”), continui riferimenti alla colpa e alla preghiera. I Father Murphy si confermano band spigolosa, scura, tormentata. E lo spazio che manca per i deboli sembra ritirarsi, qui più che mai, nei meandri cupi dei loro pezzi. Non etichettabili. Un umor nero tra Black Heart Procession e Boduf Songs, coi silenzi di quest’ultimo alternati a impennate di un (post?)post-rock primitivo e scheletrico.

Questo Ep di quattro pezzi, riprendendo le fila dell’eccellente “...And He Told Us To Turn To The Sun” (2008), fa intuire come il trio trevigiano abbia intrapreso una strada ancor più ambiziosa e abissale. Il lungo brano d’apertura (“We Now Pray With Two Hands, We Now Pray With True Anger”), in particolare, diluisce per 8 minuti quella dialettica tra cupe pause e scarti isterici che caratterizzava il disco precedente, inserendo, in più, momenti di trance ipnotica e psichedelica. E lasciando il segno.

Sempre ridotti all’osso gli elementi sonori: una chitarra spersa in vuoti umidi e pieni di eco, una batteria quasi solo tom, e organi in odore di funzione religiosa. La voce del Rev. Freddie Murphy è sgraziata e straziata (a tratti un Billy Corgan in croce), mentre i silenzi sono infarciti di rimbombi inquietanti e campanellini nevrotici, fino a un maelstrom finale di noise crostoso e devastante (This Heat?) che sembra la riproduzione sonora di un disastro tellurico. Forze ctonie, proprio. E i campanacci sbracciati da Chiara Lee nell’ultimo minuto tirano giù le montagne.

Più in linea con le cose vecchie gli altri due pezzi: “Until The Path Is No Longer” freme in un crescendo clamorosamente di pancia fino a sfociare nella solita chitarra emarginata e ombrosa (che Forest Swords gliel’abbia sentita?). Mix vuoto/pieno che si ripete in “You Got Worry”, giocata su cori a doppia voce sopra un organo quasi gotico e poi su tregue riempite solo da chitarra e affanni (sì, proprio affanni), fino all’esplosione del ‘ritornello’ finale. Un inno alla testardaggine via automortificazione («I press my forehead against the wall just to prove me right») che non stupisce si riversi in un rifacimento della guerra di Cohen. Quando diventano corali e saturi, i Father Murphy spaccano. Ma nel saper dosare questa forza con parsimonia, in un dialogo con il silenzio che ne potenzia l’efficacia e che ne macchia di nero i contorni, sta uno dei maggiori pregi della band.

«There is a war between the ones who say there is a war and the ones who say there isn’t», dunque. Alla fine Cohen diventa uno zombie scarnificato, irriconoscibile, e i Father Murphy finiscono per prenderti dentro alla loro guerra. Ora i ragazzi sono in tour negli States con Deerhoof e Xiu Xiu. Italia funebre da esportazione. Magari scopriamola meglio anche noi.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.