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R Recensione

7/10

Schnellertollermeier

Rights

L’arte della perseveranza. Less is more (reiterated). Tre sussunti in uno, uno diviso in tre. Manuel Troller, Andi Schnellmann e David Meier, per registrare il seguito di “X” (Cuneiform Records, 2015), decidono di passare un periodo nel centro culturale Südpol di Lucerna. Il metodo è semplice: ognuno se ne sta in una stanza diversa, scrive del materiale, lo sventra dall’interno adattandolo a quanto proposto dagli altri. Il trio ridiventa uno, i brani sono presi a pretesto per impromptu live, l’interazione sul palco suggerisce la direzione da prendere: poi tutto ricomincia da capo, l’uno si scinde in tre. Una ribollita creativa che, dopo cinque mesi e otto concerti, produce sette pezzi: ad un filtraggio più rigoroso, in un secondo momento, ne vengono esclusi tre. Riduzione all’osso, eliminazione del superfluo: ecco la filosofia che innerva e motiva il respiro vitale (mortale?) di “Rights”.

Cosa quest’intransigenza comporti in termini di suono è chiarissimo sin dai primi secondi della title track, con armonici e charleston a ticchettare sinistramente su quarti sbilenchi. Le successioni sono severe e serrate e, come da manuale minimalista, ogni fraseggio porta in dote qualcosa in più rispetto a quello immediatamente precedente: la sensazione è impercettibile eppure tangibilissima. Circostanziare questo famigerato qualcosa in più non è semplice: un pattern percussivo supplementare, lo spessore strumentale vieppiù evidente, il raggio d’azione della chitarra che si espande subdolamente. Fatto sta che, quasi senza accorgersene, dalla quiete assoluta ci si ritrova in mezzo ad un labirinto di clangori math-prog, una trascinante odissea heavy-swing che si costruisce man mano che avanza. Sopraggiunge la quiete armata, ma è poco più di un miraggio: la sei corde di Troller si contorce in spasmi impro jazz, dibattendosi tra signatures sempre più frantumate ed ansimanti, mentre la batteria di Meier riacquista fisicità sino a rassomigliare ad un unico blocco eburneo.

Il controllo assoluto di ogni passaggio, la tensione all’assoluta sublimazione formale divengono persino più maniacali nel blocco centrale del disco. “Piccadilly Sources” è un baccanale noise che, a partire da rifrazioni di accordi e fate morgane ritmiche, viene scaraventato verso un crescendo inesorabile ed irrefrenabile. “Praise / Eleven”, rimasta volutamente insoluta nella prima parte, precipita poi in un baratro rumoristico, trascinata a fondo da un gorgo di distorsioni che ricordano da vicino la lezione scandinava. Solo all’ultimo momento “Round” lascia andare gli ormeggi, geometrizzando il proprio incendiario chitarrismo in generose progressioni hard-kraut e concedendosi una coda di devastante free form lavico, come a sottolineare che in ogni ordine covano già le ceneri del caos che ne cagionerà la fine…

Impressionante sotto il profilo della compattezza e dell’esecuzione, migliorata sensibilmente rispetto al già notevolissimo “X”, “Rights” ha, come prevedibile, il solo difetto di trascurare le viscere per il cervello, di non recedere di un passo dal proprio inflessibile intellettualismo. Ad ogni ascoltatore decidere se ciò sia un bene o un male. Il voto di cui sopra è frutto di asciutta obiettività.

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